Diventare calciatori famosi è un sogno che per pochi si realizza. Dunque è bene evitare voli pindarici, farsi troppe illusioni rimanere con i piedi e il pallone per terra. Parole di un “addetto ai lavori”, Luca Ungari, trentasei anni, una carriera di tutto rispetto in ambito calcistico, prima nel Como poi nel Modena, squadra con la quale ha disputato due campionati di serie A, oggi “ quasi in pensione” , dato che attualmente gioca nella Pro Sesto, in serie C2. Tratto da L’ORDINE del 03/03/2010
Ma già attivo nella sua nuova professione, legata al settore immobiliare. Ha studiato, si è laureato in Giurisprudenza nonostante gli impegni sportivi non certo leggeri, tenendosi aperta una strada alternativa alla professione di calciatore. La carriera calcistica è infatti una parabola che se puòsalire , nella maggior parte dei casi scende molto velocemente, specialmente nel vasto sottobosco dei campionati minori, lontani anni-luce dal mondo dorato dei campionati di seria A . Troppo spesso infatti giovani e giovanissime promesse del calcio pensano che basti saper tirare calci a una palla per diventare campioni e assicurarsi un futuro ricco di fama, gloria, denaro.Ungari di questi ragazzini ne ha conosciuti parecchi. A tredici, quattordici anni erano reclutati nelle formazioni giovanili e stavano lontani da casa per mesi, per allenarsi . “Ricordo – quando all’inizio degli anni ’90 venni a giocare nel Como – che alloggiavo con altri ragazzi più piccoli. Erano nelle formazioni giovanili della squadra della nostra città. Io frequentavo allora l’università. In tarda mattinata, mentre stavo studiando, li vedevo arrivare nella sala comune assonnati, in pigiama . Avevano marinato le lezioni”. La scuola diventava per loro un optional, neanche, ovviamente, troppo gradito e le assenze si accumulavano in modo esponenziale, spesso a tal punto da essere respinti. E a volte la società neppure li riconfermava. Risultato: rispediti alle rispettive famiglie , con uno o due anni scolastici persi, e il sogno dorato di diventare “el pibe de oro” che si infrange contro un muro di frustrazioni. Anche perché, per diventare un Totti, Del Piero, Pirlo, Balotelli, tanto per citare alcuni “mostri sacri” del calcio italiano, non bastano fisico atletico, tecnica, allenamento,ma anche quel “quid” in più che ti rende un vero “artista del pallone”. E, come i veri artisti, sono pochissimi ad averlo. Quindi, meglio tenersi aperte altre strade, studiare, riuscire anche a laurearsi, perché la mente merita di essere allenata quanto il corpo. C’è anche chi, nonostante abbia raggiunto da giovanissimo buoni livelli, si lascia poi prendere un po’ troppo la mano e , in questo caso, il piede dalla bella vita, credendosi subito un campione. Anche in questo caso è bene non montarsi la testa, almeno non troppo in fretta. Ungari ricorda a tale proposito alcuni amici di Cremona, sua città natale. Ragazzi di diciotto, diciannove anni già inseriti nella formazione giovanile di una Cremonese allora in serie A, e quindi con guadagni impensabili per qualsiasi ragazzo di quell’età. E una certa invidia la suscitavano, confessa il giocatore ormai comasco d’adozione, perchè “esibivano moto e macchine di lusso, nei locali e ristoranti alla moda si facevano riservare i posti migliori, anche quando sembrava già tutto occupato, le ragazze impazzivano per loro” . Ma di quelli che allora conosceva e sembravano promettere un futuro da campioni, pochissimi hanno avuto i risultati che si aspettavano. Luca Ungari cita un esempio non certo incoraggiante: “ Qualche anno dopo incontrai uno di loro, un ragazzo di cui non ricordo il nome, e che avevo perso di vista. Lavorava come commesso in un negozio d’abbigliamento”. Mestiere che con il calcio, francamente, a poco a che fare. “Devo ringraziare mio padre se sono riuscito a laurearmi” afferma .La regola che vigeva in famiglia era infatti: “giochi a calcio se studi e hai dei buoni risultati “, e non certo l’inverso, cioè, “se giochi a calcio , è ovvio che tu non possa studiare”. Ci sono , comunque , soprattutto nel mondo dei campionati minori, giocatori avveduti, coscienti che , una volta terminata la carriera sportiva, avranno ancora una vita davanti, ma saranno già troppo “vecchi” per affermarsi professionalmente; per cui vale la pena di fare fatica prima studiando e magari laureandosi, per potersi assicurare poi un futuro sereno. Anche se sono ancora pochi coloro che sanno guardare oltre la loro carriera calcistica. Luca Ungari ne ricorda tre o quattro in quindici anni, tra cui oltre a lui, Fabio Pecchia, che iniziòa giocare a diciannove anni nell’Avellino e, nonostante i numerosi impegni nel calcio, riuscì a laurearsi in giurisprudenza e a sostenere l’esame di stato, tanto che i compagni di squadra lo chiamavano “l’avvocato”. C’è chi, invece, infrantosi il miraggio dei guadagni facili, si deve rassegnare a navigare spesso in modo precario nel microcosmo quasi invisibile e affollato dei “lavoratori della pedata” -per usare un termine tratto dal bel romanzo “Vite all’asta” di Claudio Gavioli,che è stato medico sociale del Modena . Così, il miraggio di facili guadagni naufraga in un mare di frustrazioni e insicurezze. E’ difficile, dopo aver sognato la gloria, accontentarsi di condurre un tenore di vita certo molto lontano da quello delle stelle dell’universo calcistico. Ungari ricorda con simpatia uno degli allenatori della Cremonese, Gaetano Salvemini; durante la stagione 1998/99, ripeteva ai giovani calciatori di investire il denaro guadagnato, in particolare acquistando immobili, perché – affermava – “ se avete sottoscritto degli impegni non potete sperperare denaro”. Certo, allenarsi a certi livelli, giocare e studiare non è facile. Per questo motivo la maggior parte dei giocatori, sottolinea l’ex calciatore del Modena, aspirano a ottenere il patentino di allenatore di prima categoria per poter allenare squadre di serie A. Ma anche questo è un desiderio che si realizza raramente, anche per molti bravi calciatori. Perché, se è vero che da ex giocatori si conosce bene la realtà che esiste “dietro le quinte” del calcio, anche di quello più spettacolare, chi intraprende la carriera di allenatore da giovane ha comunque molte più possibilità di affermarsi . Un esempio emblematico è Arrigo Sacchi, che allenòcon risultati straordinari il Milan dal1987 al 1991. Altri ex brillanti calciatori che hanno vissuto e vivono in territorio lariano non hanno invece ancora trovato una dimensione che riconosca la loro professionalità come allenatori. Due esempi sono Roberto Galia e Pietro Vierchowod. L’immagine del calcio che si ha dai mass media è quella di una specie di Olimpo irraggiungibile dai comuni mortali, dove dei e semidei, i calciatori, esibiscono i loro prodigi, e a volte, le loro virtù e i loro vizi. La realtà della maggior parte di coloro che scelgono il calcio come “mestiere per vivere” è forse molto meno straordinaria, molto più irta di difficoltà di quanto si pensi.