Hanno ancora senso le gite scolastiche e le visite di istruzione? Ricordo, che, quando insegnavo, tra colleghi le avevamo ribattezzate, tra il serio e il faceto , “visite distruzione” per rendere l’idea di che tipo di esperienza si trattasse per i docenti e spesso per gli ambienti e luoghi “visitati”.I nostri giovani oggi hanno molte possibilità in più di viaggiare di quante ne avessero le generazioni precedenti. Il mondo globalizzato ha accorciato le distanze , viaggiare in aereo non è più così costoso grazie ai voli low cost, le nostre vacanze non si concentrano più in certi periodi dell’anno, ma si tende a distribuirle lungo un arco di tempo più ampio e sempre più di frequente scegliamo mete lontane ed esotiche, che, come sopra accennato, tanto lontane ed esotiche ormai non sembrano più. l’Europa è per noi oggi a portata di mano e soprattutto di tasche e questo vale in gran parte anche per paesi extraeuropei. Tratto da L’ORDINE del 05/04/2011
Vero è che il Ministero della Pubblica Istruzione con una circolare che risale al 1996 ha delineato il quadro normativo di riferimento che regola viaggi e visite di istruzione o connessi ad attività sportive, semplificando le procedure e lasciando ampia autonomia di scelta alle singole scuole, nel rispetto dell’attività didattica e della programmazione. Gli studenti delle scuole superiori possono recarsi in Italia e all’estero, quelli delle medie entro i confini nazionali, mentre agli scolari delle elementari è concesso spostarsi entro i confini della Provincia o della Regione di residenza, secondo che frequentino le classi del primo o del secondo ciclo.Così il ventaglio delle possibilità spazia, per esempio, dalla visita di una capitale europea , a una città d’arte italiana , a un’oasi o parco naturale.Ma certo i nostri figli, bambini o adolescenti che siano, non hanno bisogno di aspettare che sia la scuola a far conoscere loro realtà vicine e lontane. Ci pensano mamma e papà, e anzi, ci pensano spesso fin da quando i pargoli, in tenerissima età, possono secondo loro affrontare lunghi viaggi in aereo (i bagni di molti aeroporti sono attrezzati per il cambio dei pannolini e poi c’è sempre il biberon per calmarli se piangono per il mal d’orecchie durante la trasvolata) o estenuanti spostamenti in macchina. Quante volte ho visto i poveri bambini addormentati con la testa ciondolante dai marsupi incollati al torace di uno dei genitori o legati al passeggino agitarsi mentre mamma e papà tentano di interessarli ai quadri del museo che stanno visitando o, peggio, al giro di shopping che bene o male si concedono durante il viaggio.Dunque, se i nostri figli viaggiano sin da quando sono lattanti, non è forse tempo che la scuola smetta di sobbarcarsi l’impegno gravoso delle gite, che comportano comunque enormi responsabilità da parte degli insegnanti, costi magari non programmati dalle famiglie e spesso giustificati dubbi se non addirittura disapprovazione da parte dei genitori più apprensivi riguardo alle mete, alla sicurezza durante il viaggio, eccetera?Ho accompagnato, quando insegnavo, diverse classi in gita scolastica. Io stessa, spinta dall’entusiasmo di (allora) giovane insegnante, ho organizzato varie visite di istruzione.Oggi non lo farei più. Anzitutto, per i motivi suddetti. E poi perché non potrei più reggere fisicamente la parte del “guardiano” a gruppi di ragazzi che, inevitabilmente, durante la gita perdono quel po’ di controllo che in classe sono costretti a mantenere, considerandola non un momento di approfondimento culturale di argomenti trattati durante l’anno scolastico, ma una parentesi dove tutto puòessere concesso in piena libertà, dove prevale lo spirito del “branco” su quello dell’individuo e quindi non ci si puòtirare indietro se il branco chiede di trasgredire.Dunque nottate in bianco con tentativi di incursioni da una camera d’albergo all’altra (soprattutto i ragazzi in quelle delle ragazze), qualche birra di troppo, “fughe” dal gruppo che creano inevitabili ritardi nel rispetto del programma (“ma dove si è cacciato Rossi? Dov’è finita Rezzonico?”) e conseguenti fibrillazioni da parte dei poveri docenti accompagnatori. Non venitemi a parlare della funzione di socializzazione che le gite avrebbero: i nostri ragazzi hanno tante occasioni per socializzare, e i più timidi certo non cambiano carattere in un giorno o due, e neppure in una settimana di terapia d’urto a cui la gita scolastica li sottopone.Spesso mi capita di incontrare scolaresche in gita.Dal momento che questo è in genere il periodo in cui si concentrano le visite di istruzione, ho avuto occasione di osservare parecchie classi proprio in un viaggio che ho fatto recentemente durante il quale ho visitato alcune città europee. Erano tutti studenti delle scuole superiori, dunque si presuppone “cum grano salis”, provenienti da vari paesi d’Europa. Com’è vero che tutto il mondo è paese!Infatti le guide che accompagnavano ogni classe, spiegavano con dovizia di particolari la storia della città, l’architettura, l’arte. Ad ascoltarle erano i professori e qualcuno (pochi) tra gli studenti. Gli altri erano impegnati a ridere, mangiare panini e patatine, bere bibite. Alcuni si cimentavano addirittura in acrobazie con lo skate board, incuranti dei richiami degli insegnanti. Qualche ragazza si rifaceva il trucco o contemplava estasiata il negozio di abbigliamento più vicino. E proprio ieri, a Como, mentre passavo di fretta sul lungolago, ho incontrato l’ennesima classe (ragazzi delle scuole medie di non so quale città ) che stava andando a visitare i monumenti del centro storico. “Andiamo ragazzi, dobbiamo ancora visitare il Duomo” ha detto l’insegnante con voce desolata e implorante al tempo stesso. E subito un ragazzino col cappellino sulle ventitrè, il ciuffo sugli occhi e le braghe ampie che lasciavano intravedere parte delle mutande :“Nooo, Prof! Andiamo sul pedalò”. Mi spiegate quale programmazione didattica prevede la gita in pedalò? Certo neppure l’istituto nautico.E allora, per favore, lasciamo perdere le gite scolastiche.