Una lettura profonda fatta dal Prof. Basilio Luoni delle mie poesie.
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Frammenti di vita 2008
E’ un libro d’assaggio, si direbbe, di preparazione.
L’autore dispone sul banco i materiali che ha sottomano, le persone care, i
luoghi che frequenta da sempre, le stagioni, le luci, le ombre, le presenze
inquietanti, le tragedie quotidiane, i paesaggi amati: le spiagge portoghesi
che sembrano fare da confine all’eterno, le montagne simboli di immortalità, le
case della vita; e le cose piccolissime, infinitesimali che già stanno svanendo
prima di esistere: “ l’eco che muore su se stessa, la bolla di sapone
evanescente, l’ultima goccia di birra…” E ne spreme il significato: esperienze
sempre diverse con il finale sempre uguale per tutte e per tutti…Cerca anche
una figura che diventi allegoria di se stesso: il giocatore di golf che lancia
il destino ( lucida e bianca pallina ) lungo il verde percorso della vita, fino
a che viene inghiottito da una piccola buca nera.
Il dettato a volte scopre forse un po’ troppo l’intento,
dichiara forse un po’ troppo quel che sottintende: ne è spia la presenza
costante o quasi degli infiniti verbali che in realtà dissimulano degli
imperativi interiori, e il ricorrere del verbo voglio. Come se il poeta si prestasse a un esame con un esaminatore
severo a cui sente di dover dare risposte precise: cos’è la poesia, perché la
poesia ( p28 ), cosa sono le parole ( p35 ), qual è il misterioso rapporto tra
la matematica e la poesia ( p42 ), cos’è il tempo ( p56 ).
Ma ci sono risultati già definitivi: tale mi sembra Senilità a p54, nitido e perfetto come
un piccolo classico, e alcune definizioni:
“ La vecchia casa di sasso/ è ormai un’icona del cuore” (
p71 ).
Farfalle e pietre 2010
Dice M. Cucchi: “ e’ un libro che si puòconsiderare come un
nuovo esordio…l’autrice compie un netto progresso…si impossessa in modo più
decisamente più autonomo del mezzo, realizza una sorta di inquieta meditazione
lirica in accenti di una plausibile e persuasiva medietà di tono…”
“ Pensavo: Le carte del destino si sono perse lungo la
strada fradice di pioggia. Non le ho più ritrovate. Con la nebbia nel cuore
sono tornata a casa. E non ho più giocato”.
Così scrive la Garavaglia nella prima lirica. Ci annuncia
che siamo alla fin de partie, una fine partita che , nella “ persuasiva medietà
di tono” di cui diceva Cucchi, ha un sapore di piccola apocalisse beckettiana.
E’ come se il fuoco purificatore della fine del mondo avesse passato la sua
lingua su tutte le cose, i paesaggi, i corpi, la vita. Non le ha ridotte a
cenere, ma le ha strinate, almeno in superficie:
“ Se guardi dentro è magma/ materia viscida che brucia
viscere e anima./ Fuori solo la scorza, involucro avvizzito…”
I paesaggi del primo libro, colorati e in qualche modo
sontuosi, si sono prosciugati, quasi ridotti all’essenziale: la pietra,
l’acqua, l’aria…Si configura uno scenario prevalentemente desertico, vulcanico,
anche se magari in riva all’acqua: terra nera e gialla, dove puòfiorire solo
la ginestra leopardiana, bandiera dell’irriducibile aspirazione alla vita, una
sorta di speranza senza oggetto, senza fede: “ Ma io sono ginestra…”
Pietre e farfalle,
a p37, è la lirica che compendia in modo esemplare la posizione del poeta.
Compare un verbo che la Garavaglia ama molto e userà molte
volte: implodere: “implodo come stella che muore”. Un verbo di esattezza e
precisione scientifiche: è il cedere violento, immediato, sotto l’urto di una
pressione esterna superiore a quella interna, dice il vocabolario. Ed è destino
comune: al pronome di prima persona singolare in questo secondo libro si
sostituisce quasi sempre il pronome di prima plurale: noi. E’ forse il
riconoscimento di questa comunanza di destini a opporsi al tono tragico. Cucchi
parlava santamente di medietà di tono. Il clima che registriamo nelle varie
liriche è lo stesso che avvertiamo nei quadri di E. Hopper. Qualcuno li avrà
presenti: figure di solito sedute a un tavolo o su un letto, in attesa di
chissà che, o più probabilmente in sosta prima della possibile implosione. Ma
la luce che avvolge ambienti o figure è ancora tiepido e dolce. Illusoriamente,
magari, artificialmente, magari, ma ancora tenera e dolce. Vedi Sera di Pasqua p39.
La simmetria del gheriglio 2012
Una delle ultime poesie della seconda raccolta: Dall’aereo di notte, lo preannunciava.
Dall’alto il foglio oscuro della terra si riempiva di segni intermittenti, di
una rete fitta di lampi geometrici, dietro i quali erano nascoste le ferite
inferte alla scorza del pianeta. Erano come i segnali di una catastrofe in
atto.
Nella terza raccolta sembra che la catastrofe sia avvenuta.
Il mondo è imploso. Al sopravvissuto non resta che raccoglierne le schegge
sotto il tavolo, interrogare e catalogare i frammenti. Le immagini che i versi
ci suggeriscono sono da ospedale, da sala operatoria, da ospizio, da convento
abbandonato, da cucina di ristorante
povero:
“Il tempo lecca la vita/si scioglie in gocce dense/colando
lasciano tracce incerte/macchie che poi sbiadiscono./ Raccolgo il mozzicone del
giorno/scarnifico parole fino all’osso,/succhio il midollo fin che posso.”
Fin che posso, sottolineo. Perché il sopravvissuto non è per
niente sicuro di farcela. Non appena trova una allegoria per definirsi: il
pescatore ( non più il giocatore di golf ) che strappa la bocca e il cuore alle
prede per cui riesce ancora a provare dolore, la figura gli si capovolge
immediatamente:
“ Chi sa chi si credeva di essere/… boccheggiava come tutti,
pesce nella rete.”
Se tornasse all’immagine del giocatore, sarebbe lui ormai a
finire in buca e non la pallina. “ Di ciòche siamo non rimane niente”, gli è chiaro. E con dolore e rabbia è costretto
a constatare il senso muto delle cose e a spurgarsi del veleno delle certezze. Il
suo pensiero anticipa l’altra implosione, la sua personale:
“ Misero sciame d’atomi/mi sento un punto sopra il
palloncino/ dell’universo muto che si espande./E’ il mio normale destino.”
La parola chiave è normale,
credo. L’implosione è la norma per tutte le cose create, grandi o piccole o
minime:
“ Le stelle sono cadute nel bicchiere…”
Una volta implosi, smembrati, atomizzati, gli enti grandi e
piccoli sembrano ritrovare una misteriosa allegria:
“ Elettroni danzano da un’orbita/all’altra…”
Se poi fosse troppo parlare di allegria, parlerei di
leggerezza, la stessa dei pulviscoli che attraversano i fasci di luce nelle
soffitte estive, dei moscerini che danzano quieti sull’acqua stagnante, delle
lucciole nel pozzo tranquillo della notte. Dissolti, prosciugati, il dolore e
la rabbia, la traiettoria rettilinea della tragedia piroetta, sia avvolge su se
stessa:
“ Era stato come un gioco,/con quella figura che cadeva
dall’alto…/era come se la figura dovesse rialzarsi in volo/ come fanno le
rondini e i vecchi/dicono che pioverà.”
Nella vacanza del senso, nell’altalena del positivo e del
negativo che si annullano nel cerchio dello zero, non fanno più paura neppure
le nottole di Coimbra che divorano i tarli difendendo milioni di parole. “ Il
sapere ha l’odore stantio e il silenzio che si deve alle cose morte”. Ma una
piroetta prima o poi puòdarsi che gli ridia voce. O scomponga e ricomponga le
parole e le frasi in nuovi milioni di parole e frasi. Intanto – è sotto gli
occhi di tutti – le nottole continuano a mangiare.
Basilio Luoni