L’edizione del festival a Villa del Grumello ha registrato un successo prevedibile, ma il segno lasciato dai versi su Como supera la semplice soddisfazione
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La poesia non teme il tempo, in
ogni senso. Nonostante il freddo e la pioggia di una primavera che nulla ha da
invidiare ai rigori invernali, sabato, a Villa del Grumello, al Festival
“Europa in versi. La cura della poesia” erano presenti centinaia di persone. E
non solo comaschi: il pubblico presente proveniva da Milano, Varese, Lecco,
dalla vicina Svizzera, e da varie regioni d’Italia, dall’Emilia Romagna, al
Veneto, alla Toscana. Un pubblico
eterogeneo, tanti gli iscritti ad associazioni di volontariato impegnati
nell’ambito dell’assistenza agli ammalati, come, ma sono solo alcune delle
tante presenti, Il Mantello di Cantù,
l’Aisla di Como, l’Associazione “Tullio Cairoli” attiva al DH oncologico
dell’ospedale S. Anna di Como a S. Fermo della Battaglia.
Molti gli operatori sanitari,
medici, psicologi, sociologi ad
ascoltare le testimonianze degli
illustri professori, impegnati nell’ambito delle Medical Humanities, invitati
come relatori: lo psichiatra e psicoanalista ticinese Graziano Martignoni, il
neonatologo dell’Ospedale Meyer di Firenze Gianpaolo Donzelli, La dottoressa
Patrizia Trimboli , psicologa e counselor ad orientamento clinico e il dottor
Mario Guidotti, primario del reparto di neurologia dell’Ospedale Valduce di
Como. La prima parte del pomeriggio e stata infatti dedicata al tema della
Medical Humanities “cura che non è solo terapia, ma appartiene al quel
“prendersi cura”, che è “avere cura” dell’Altro,
come condizione fondamentale, preoccupazione dell’uomo verso l’uomo”, scrive il professor Martignoni. Un modo di
affrontare il dolore che tende a recuperare il pensiero ippocratico che vedeva
medico e paziente uniti nella lotta alla malattia .Una diversa prospettiva
rispetto a quella che vede oggi dominare l’aspetto scientifico, tecnico e burocratico
della medicina, certo indispensabile nella cura, ma non sufficiente. Ecco che allora
è importante che passi un messaggio
fondamentale per un’etica della cura che possa veramente dirsi tale. Non solo
osservare dei sintomi, fare una diagnosi, avviare una terapia , ma prendersi cura della persona nella sua
totalità, considerando anche gli aspetti emotivi e psicologici profondamente legati
al dolore della malattia: fragilità interiore,
mancanza di punti fermi, disperazione e senso di vuoto, e di esclusione,
sentirsi limitati, “diversi”. Ecco
dunque il ruolo fondamentale delle scienze umane, filosofia,
psicologia, antropologia medica,
sociologia , bioetica e delle discipline umanistiche, arte, musica, letteratura
e poesia in particolare, ad affiancare la medicina nella cura del
paziente. Sono numerose, del resto, le fonti scientifiche che esaminano le
possibilità terapeutiche e il rapporto diretto tra narrativa e medicina, tra
dolore e arte : basti pensare per esempio, come ricorda il professor Marco
Venturino, medico e scrittore, direttore di Anestesia e Terapia intensiva alla
IEO di Milano, ai corsi di scrittura autobiografica tenuti a scopo terapeutico
dal professor Duccio Demetrio alla libera università di Anghiari.
Coniugare la poesia alla cura,
dunque, perché la poesia è terapia in quanto offre la possibilità di elaborare
il dolore, renderlo, se non eliminabile, affrontabile. “ La poesia cerca le
tracce dell’esistenza ferita e insieme le abita”, scrive ancora Graziano
Martignoni “la parola poetica e narrativa accoglie e dà ospitalità alla
malattia come condizione dell’esistenza stessa, come tragico stare-al-mondo”.
Ma il tema della cura della
poesia ha assunto, attraverso le voci dei grandi poeti italiani e stranieri
presenti all’evento, anche un altro importante significato: la cura della
poesia significa anche cura della parola. In un’epoca in cui si abusa di tutto,
si abusa anche delle parole, svilendone il significato: “fluiscono
ininterrotte, inondano il pavimento, salgono alle ginocchia, arrivano alla
vita, alle spalle, al collo. E’ il diluvio universale, un coro stonato che
erompe da milioni di bocche” ha scritto Josè Saramago. La poesia restituisce alle parole il loro profondo
significato, si prende cura del linguaggio perché il poeta abita il linguaggio
come abita la propria vita.
Tanti giovani, tra il pubblico,
poeti esordienti, che hanno atteso con pazienza il loro turno alla “bottega di
poesia”: un segnale confortante a testimoniare come questo genere letterario
sia un linguaggio vicino al loro modo di pensare e di essere, contrariamente
alla comune opinione che li vuole generazione priva di interessi e di idee.
Il pubblico ha apprezzato la
varietà di voci dei grandi poeti stranieri che hanno preso parte al festival,
il portoghese Gastão Cruz, il francese Alain Veinstein,lo spagnolo Juan Carlos
Reche,la marocchina Fatiha Morchid , e quelle di alcuni tra i principali esponenti
della poesia italiana, come Milo De Angelis, Giampiero Neri, Bianca Maria Frabotta;
ha ascoltato con interesse i versi di
Basilio Luoni, impegnato a tenere vivo nei suoi componimenti il valore
culturale dei dialetti del lago. La parola poetica, lascia spazio al sentimento
e all’emozione, al “non detto” che accompagna spesso il senso profondo delle
cose. Un solo verso puòdirci di più di mille parole pronunciate o scritte
senza l’amore e la cura nei confronti del linguaggio. Amore e cura che sono tratti distintivi della poesia, una delle avventure
più entusiasmanti della vita.
Certamente Europa in versi non è
stato quest’anno solo un festival. E’ stato molto di più. E il seme gettato da
questa seconda edizione darà i suoi frutti: la poesia potrà essere un modo di
“fare rete” tra chi si prende cura di
chi soffre, la migliore terapia per lenire il dolore fisico e spirituale che
accompagna la malattia.