Ecco l’intervista pubblicata domenica 17 aprile su L’Ordine, inserto del quotidiano La Provincia,al poeta neozelandese Michael Harlow, che prenderà parte al Festival Internazionale di Poesia Europa in versi.
Buona lettura!
Qual è la
situazione della poesia nel Suo Paese?
Io la leggo così – la scena poetica attuale in Nuova
Zelanda mi colpisce come alquanto polarizzata – alcuni direbbero culturalmente
schizoide. Da un lato c’è un buon numero di poeti maturi o che stanno
maturando, raffinati, che scrivono e pubblicano poesia a livello nazionale e
internazionale, raggiungendo un buon livello di eccellenza. è importante notare
che non costituiscono un’élite chiusa, che preferisce incastonare le proprie
opere e dedicarsi a una pratica poetica alla moda fine a se stessa. La
singolarità della voce di questi poeti più maturi e indipendenti si traduce
nella libertà di perseguire visioni e percezioni personalissime, cosicché nel
loro lavoro esemplificano il coraggio e la fiducia nel linguaggio e nello scrivere poesia. La
loro scrittura è caratterizzata dal desiderio di chiedersi perché siamo così
misteriosi a noi stessi e al mondo e che cos’è il mondo e che cosa il mondo sta
cercando di dirci. La loro intenzione poetica sta nel suscitare domande sulla
condizione umana. Sono profondamente interessati alla relazione archetipica tra
il reale e l’immaginato, tra la realtà e l’immaginazione. Sono poeti e non
bisogna cercare di etichettarli o incapsularli in base ai loro interessi, poeti
il cui credo e le cui percezioni e la cui pratica poetica sono quelli degli
umanisti esistenziali. Tuttavia non sono sciocchi e la loro poesia è ben
fondata sulla realtà esterna come pure sulla realtà interiore
dell’immaginazione. Si direbbe che come poeti in genere mostrano una grande
stima per ciòche noi chiamiamo ancora l’abilità dello scrivere poesia. Le
possibilità musicali della musica che si fa parola in cerca di significato
procurano il puro piacere della lettura di questo tipo di opere e la cosa più
significativa è il riguardo focale per il suono delle parole, per ciòche
infonde vita nel linguaggio e anima il linguaggio della poesia, ciòche rende
la poesia lirica la modalità a tutt’oggi dominante. Questo riguardo per il
suono delle parole nella casa della poesia e nelle poesie è forse l’aspetto più
singolare dei poeti di cui parlo. Questi sono poeti che sanno che le poesie di
scoperta vanno sempre al di là e più in profondità (dove “profondo vuol
dire autentico”), più in profondità delle poesie di pura invenzione. Le
poesie d’invenzione che mancano dell’elemento di scoperta sono spesso
incantevoli e intelligenti e talvolta pseudo sagge in ciòche cercano di
comunicarci, ma in fondo si tratta di una poesia senza sbocchi, un po’ troppo
pattinare sulla superficie del linguaggio. Dall’altro lato della linea
divisoria c’è una sovrabbondanza di poeti per i quali la corsa alla popolarità
e alla poesia popolare è promossa come fine ultimo. Di conseguenza troppo
spesso assistiamo ad una proliferazione di poesia avida di qualunque cosa la
pratica poetica del momento stia promuovendo. Non c’è nulla di sbagliato nella
poesia popolare in sé, ma promuoverla al di là dei suoi limiti e sostenere, sia
pure implicitamente, che essa possa diventare una sorta di nuovo standard o
misura è una pratica altamente sospetta. Vi è un numero crescente di poeti di
vario livello di talento, abilità ed esperienza che sottoscrivono l’istinto del
gregge. Si occupano di argomenti legati a un esasperato interesse per l’ego, il
che puòessere a volte incantevole a volte addirittura intelligente, ma finisce
il più delle volte per essere un reportage poetico troppo incentrato sull’io,
troppo preoccupato di ciòche accade sul fronte domestico, sì da risultare
inoffensivo o quanto meno noioso. C’è spesso un senso di timore o sospetto nei
confronti della poesia che vuole andare più in profondità della semplice
superficie degli eventi. Il pattinare sulla superficie del linguaggio e
dell’esperienza, talvolta magari con risultati decorativi apprezzabili, è una
cosa; la poesia che va in profondità, là dove “profondo vuol dire
autentico”, è un’altra cosa. Uno degli sviluppi più scoraggianti della
pratica poetica è la proliferazione della poesia da blog che ha preso piede qui
in Nuova Zelanda come altrove. La poesia da blog potrà anche riuscire
occasionalmente a sembrare un po’ sofisticata e seria nelle sue intenzioni. Il
pretesto di un impulso democratico e la pressione di ciòche è di moda ci
costringono ad accettare di essere subissati da un’ondata di poesia che celebra
ampiamente un io ipertrofico. è questa una poesia che celebra il quotidiano, il
banale, concentrata narcisisticamente su di sé, che crede che tutto il parlare
sia poesia, soprattutto se sulla pagina ha l’aspetto della poesia. è la ricerca
della celebrità istantanea, la fantasia della celebrità in una lingua che
finisce per lo più per essere morta o morente prima ancora di aver colpito la
pagina. è il territorio dei bei vestiti, quell’altra versione del blog, una
poesia praticata anche da artigiani consolidati, che si risolve talvolta in una
sorta di ventriloquismo intelligente, persino incantevole. La poesia non ha
bisogno d’essere in prima pagina, d’essere popolare, sebbene possa diventarlo
se riesce a rimanere viva a sufficienza e se è costruita abbastanza bene per
durare e se ha qualcosa da dire. La poesia ha bisogno, almeno nelle intenzioni,
di essere seria, includendo nel serio anche il riso e l’umorismo. La poesia ha
bisogno di usare un linguaggio vivo e ricco di immaginazione, aperto alla
scoperta delle sue possibilità connotative. Deve sapere che il suono delle
parole e la loro musica è la sostanza di ogni buona poesia.
Pensa che la poesia sia uno strumento per avvicinare culture e religioni
diverse?
Da sempre la poesia, in qualunque sua forma, è un modo
per conversare tra culture – sul piano estetico, sociale e politico. Se la
poesia è uno dei “canti della nostra specie”, essa è un modo
universale per dire qualcosa sul mondo, individualmente e collettivamente. è un
modo per attestare e confermare la nostra identità e per testarla a confronto
con altre modalità di parola. La poesia è infatti innanzi tutto canto, musica
delle parole; poi è tradizionalmente un mezzo con il quale esprimiamo le nostre
aspirazioni personali e nazionali. In molte parti del mondo è stata e sarà
un’espressione della voce del popolo e dei suoi sogni su ciòche siamo e su
dove siamo diretti. E in una certa misura la poesia sarà sempre un atto
politico nel senso lato del termine, anche quando non è un atto politico. Ci
sono naturalmente eccezioni. La poesia ha bisogno di “andare da qualche
parte”. Gli uccelli che non volano o non cantano sono in difficoltà,
proprio come noi. E chi davvero vorrebbe ingabbiare quell’uccello libero che è
la poesia? O silenziare il suo canto? E naturalmente la poesia vuole viaggiare;
incessantemente attraversa frontiere, non è così? La poesia cerca le relazioni
culturali, il che le consente di essere costantemente informata e rianimata
dall’Altro. Vediamo e sentiamo che le parole della poesia non sono mai pienamente
felici se rimangono a casa, sole in dialogo solo con se stesse. “Mi vieni
a fare visita?” chiese la poesia. “Sì” risposi. “Portami
con te” disse la poesia.
La poesia “religiosa” è sempre stata una forma
di poesia. Storicamente la poesia è stata strumento di celebrazione di materie
spirituali. Per molto tempo è stata considerata una forma di preghiera. La sua
graduale e progressiva secolarizzazione rappresenta uno sviluppo inevitabile e
necessario, da cui la comunità poetica trae grande beneficio. E tuttavia essa
si porta appresso un piccolo bagaglio: si occupa sempre, sia pure in modi
diversi, della relazione con la trascendenza. Dai tempi delle prime comunità
umane, la poesia, in forma di canto e preghiera, inno e salmo, richiesta e
celebrazione, oltre che narrazione, è sempre stata una delle voci della
religione. è cosa c’è di più importante delle storie sulla creazione che ci
raccontiamo su come siamo giunti all’esistenza? Si tratta di un modo ideale per
riconoscere quella realtà spirituale che ci conferisce una qualche identità
metafisica. “Sopra e sotto”/”Sopra è come sotto” è un
consiglio che ci giunge dal passato. E i poeti greci hanno lavorato per secoli
a questa realtà. Per quanto ne sappiamo, non esistono società o culture che non
abbiano abbracciato un qualche credo o non abbiano almeno avvertito il bisogno
di ciòche è spirituale e divino. Forse a volte
si sono anche ribellate contro questa realtà – sebbene questa sia la
realtà dell’immaginazione. Ciòche la poesia di tanto in tanto ha da dire a riguardo è notevole. E molti dicono – e tra
loro molti poeti – che la poesia nell’espletare il suo ruolo spirituale
costruisce l’anima. è questa un’idea che in passato più che grandiosa era
scontata. La parola psiche, spesso intesa come sinonimo di anima, era alquanto
viva nei pensieri e nel linguaggio dei poeti e dei filosofi, come anche in
quello dei pastori e delle flautiste. Non ci sorprende dunque che la poesia sia
ancora viva né che sia in contatto con lo spirito della religione.
Il linguaggio oggi si è impoverito: la poesia puòridare valore alla parola?
In merito all'”impoverimento della lingua” e a
come la poesia possa contribuire a risollevarne le sorti, non trovo
testimonianza migliore delle illuminanti parole della poetessa italiana Laura
Garavaglia. Così parla del linguaggio: “La luce delle parole che solo la
poesia puòridare al linguaggio: le parole diventano luce”. Sebbene si
riferisca a un altro contesto, quanto dice è assolutamente vero ed emblematico di
ciòche la poesia puòfare per fermare il progressivo e incessante decadimento
della lingua. Se la poesia sta nutrendo la forza vitale del linguaggio e il suo
continuo rinnovamento, le parole di Laura Garavaglia contribuiscono a fare
chiarezza sull’espletamento di questo compito, grazie alla cura scrupolosa per
la lingua, che è la linfa della poesia. Qualunque altra cosa faccia la poesia –
e la buona poesia fa sempre qualcosa – questo fa innanzi tutto: rende intimo
tutto ciòche tocca.
La poesia
nel mondo dei giovani. Quale futuro?
è difficile prevedere gran che sul rapporto tra giovani e
poesia, o quali sorprese ci attendano dietro l’angolo. è difficile prevedere il
futuro della poesia. Tuttavia si possono formulare delle ipotesi. In un certo
senso stiamo parlando del futuro della poesia come lo vediamo. La folle ricerca
del successo, l’incontrollato mercantilismo e l’imperante consumismo ci
rappresentano tutto, compresa la poesia, come un bene da produrre e
commercializzare, comprare e vendere senza prenderne in considerazione la
qualità. In questo scenario la poesia diventa un surrogato, un giocatore di
scorta. Si ignora volutamene che la poesia un tempo e per molto tempo sia stata
considerata un bene comune. Sembra che i “giovani” abbiano narcisisticamente
abbracciato il valore commerciale della poesia “istantanea” (come lo
zen istantaneo, il successo istantaneo, la celebrità istantanea, ecc.). In
breve, sembrerebbe che la poesia si stia adeguando a un concetto di tempo
folle, capovolto, che sposta costantemente ogni valore.
La poesia
sui social network: qualità o spazzatura?
Non posso dire gran che sulla poesia dei social media,
principalmente perché ho scelto di
autolimitarmi l’accesso a questa straordinaria ondata di pubblicazioni
tecnologiche. Per quanto ne sappia, mi pare una borsa piena di tante cose
disparate, che talvolta includono poesia interessante e di qualità. Un certo
numero di periodici e riviste che un tempo uscivano solo su carta stampata
hanno fatto il loro ingresso nell’arena. Inoltre vi sono pubblicazioni e siti
più recenti che si specializzano in poesia, per la maggior parte sperimentale,
spesso mediocre. Danno solitamente ampio spazio a poeti giovani, per lo più
inediti. L’accesso alla pubblicazione di poesie è quasi universalmente più
facile che in passato, il che incoraggia la sperimentazione nella forma. Qui in
Nuova Zelanda molti siti e blogs di poeti laureati ospitano poeti di grande
talento, oltre a lavori di critica sulle arti. Ho notato che esiste un buon
numero di siti che offrono accesso alla poesia del passato, oltre che del
presente, spesso già pubblicata in riviste e antologie. D’altro canto, c’è una
proliferazione di massa di “poeti da blog”, aspiranti poeti, poesie
che vorrebbero essere tali e poeti che vorrebbero spacciarsi per tali, tutti in
un bel miscuglio. Buona parte di tutto ciòè molto mediocre, poesia spazzatura.
Mezzo-sangue del verso, poesie che cercano sinceramente la serietà e una
varietà di altri scarabocchiati tentativi. Effusioni che riflettono una cultura
narcisistica caratterizzata dalla ricerca della celebrità istantanea,
autocongratulazioni finalizzate a far sentir bene chi scrive, un gran guardarsi
allo specchio e una notevole incapacità a distinguere i suoni quando si
tratterebbe di far cantare un po’ la lingua. Beh…
Quanto meno si cerca di essere democratici…Traduzione di Annarita Tavani