Il volume “Uomini e pareti” con cui il ventiseienne Matteo Foglino, di Moltrasio, e il noto giornalista e alpinista Carlo Caccia, erbese , si sono aggiudicati il prestigioso premio letterario “Leggimontagna” ,dedicato alla letteratura di questo genere, è senza dubbio un libro interessante anche per i non addetti ai lavori. Tratto da L’ORDINE del 3/11/2010.
Si tratta di una serie di interviste realizzate da Caccia ad alpinisti noti a livello internazionale, come gli italiani Ermanno Salvaterra e Simone Moro, lo statunitense Steve House e il francese Patrick Gabarrou. Matteo Foglino si è dedicato invece a raccogliere le testimonianze di una passione considerata “di nicchia”. Passione che si trasforma , per chi ne è travolto, in filosofia di vita. Mi riferisco ai “climber”, arrampicatori alpinisti, pronti, a scalare formazioni rocciose che sembrerebbe impensabile poter conquistare, per il rischio che si corre ad ogni movimento, perché “un errore puòvoler dire morte”, come scrive l’autore nel libro citato.Eppure pronti a farlo perché per loro oltre che una sfida all’altitudine e alla verticalità assolute, è anche una forma di divertimento.L’amore per la montagna e per l’arrampicata è sentimento totalizzante, che solo chi ha vissuto la dimensione spazio-temporale di quei luoghi puòcomprendere. E’ un amore che si basa anche sul rispetto: rispetto per quelle vette che si stagliano contro il cielo, che da lassù appare così vicino a noi, atomi al confronto.Rispetto per quell’ “aria sottile”, titolo del famoso libro scritto da Jon Krakauer sulla spedizione himalayana del maggio 1996, che ebbe esito tragico; quell’atmosfera rarefatta come rarefatti sono , in montagna, rumori, incontri, suoni, tempo, che si dilata in modo incommensurabile e non ha la dimensione del tempo che quotidianamente viviamo.E’ un amore che si basa su quel senso di smarrimento e allo stesso tempo di vera, intensa felicità che si prova salendo in quota, sentendosi passo dopo passo sempre più vicini alla meta prefissata, e ad ogni sosta ammirare il paesaggio che si spalanca davanti agli occhi . Rendersi conto che la montagna è sempre lì, al medesimo posto ma che la luce, le ombre, i contorni, i colori non saranno mai gli stessi. L’ineffabile bellezza delle vallate , il senso di affascinante vertigine che si prova alzando lo sguardo e scoprendo la maestosità delle vette , delle pareti a strapiombo , della vastità dei ghiacciai suscita una passione per questi luoghi che ha radici profonde nell’anima, radici che difficilmente potranno essere estirpate. Vasta la letteratura dedicata alla montagna. Romanzi, racconti, saggi, poesie. L’autore che per primo mi viene in mente è Francesco Petrarca. L’epistola “L’ascesa al Monte Ventoso” diventa metafora dell’incapacità del poeta a seguire il cammino, faticoso e irto di difficoltà, che porta alla virtù. Si pensi alle descrizioni di viaggio riportate da quegli autori, una élite, che per compiere il Gran Tour in Italia, al quale nessun artista poteva rinunciare per la propria formazione, dovevano valicare le Alpi e che non hanno potuto fare a meno di trascrivere le loro impressioni , annotare riflessioni . Penso a Dumas, Ruskin, Hugo, Chateaubriand, solo per citarne alcuni. E come non accennare anche ai grandi pittori che, durante l’800 non con le parole, ma con il linguaggio delle immagini hanno ritratto nei loro quadri la luce, la solitudine, la vastità dei paesaggi montani: ne cito due, William Turner e soprattutto Giovanni Segantini. I suoi grandi, meravigliosi quadri che ritraggono i paesaggi delle montagne dell’Engadina avvolgono chi ha la fortuna di ammirarli in un abbraccio di luce, colori, silenzi che solo tra quelle cime si trovano. Tanti alpinisti , tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, portarono a termine imprese ritenute leggendarie scalando vette dell’arco alpino: William Auguste Coolidge, il quale compì numerose prime ascensioni sulle Alpi o Edward Whymper che per primo nel 1865 conquistòla vetta del Cervino. Scrissero avvincenti diari delle loro avventurose spedizioni.E poi colui che oggi è diventato il simbolo dell’alpinismo, Reinhold Messner, sostenitore del cosiddetto “stile alpino” ovvero la sfida alle vette più impervie, i famosi “quattordici ottomila” e la loro conquista senza alcun supporto tecnico né aiuti da parte dei portatori. Di tali scalate che vanno oltre i limiti delle possibilità umane, il cui confine tra titanismo, coraggio e incoscienza non è ben delineato, il grande alpinista ha lasciato testimonianze nei numerosi libri che ha scritto.Sono tanti gli scrittori che hanno dedicato il loro talento alla montagna. Sarebbe superficiale e troppo generico esaurirli in un articolo.