“In molti atenei, tra questi il mio (Catania), Scienze della Comunicazione è come una versione light di lettere moderne: arte e spettacolo come al DAMS, ma con più teoria; abbondante letteratura e filosofia, ma senza il latino. Idem per i corsi di laurea specialistica. Proprio la laura ideale per tanti studenti che, dopo il diploma, hanno voglia di restare un po’ a perdere tempo. Non c’è da meravigliarsi se nell’immaginario comune, Simpson compresi, SDC (Scienze della Comunicazione, ndr ) sia considerata una laurea fasulla rispetto alle tradizionali Medicina, Ingegneria, Economia, Giurisprudenza.”Tratto da L’ORDINE del 29/09/2009
Ecco il parere di uno studente di questa facoltà, sul blog universitario, dove evidenzia anche la necessità di aggiornare piani di studio, metodologie didattiche, ecc. per renderlo più attuale. Eppure è un percorso accademico relativamente recente, dato che fu attivato agli inizi degli anni ‘90 presso alcune Università pilota, Torino, Siena, Salerno e in seguito, nel 2000, scorporandosi dalla Facoltà di Sociologia, presso La Sapienza di Roma; Nacque con l’ambizioso l’obiettivo di creare dei professionisti in grado di operare nei vari e sempre più articolati settori della comunicazione, dotati di alte competenze e flessibilità. Negli anni successivi questo indirizzo di studi proliferònella maggior parte degli atenei italiani, spesso in dipendenza da altre facoltà, in particolare Lettere e Filosofia, Psicologia (presso le Università Milano –Bicocca e Via e Salute San Raffaele), Economia (Università Cattolica) ; e per portare un esempio locale, fu attivato qualche anno fa all’Università degli Studi dell’Insubria, con sede a Varese, presso (incrediile, ma vero) la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali. Oggi le sedi universitarie dove studiare comunicazione sono davvero tante, troppe. Raddoppiate rispetto al 1999, anno in cui è stata varata la riforma universitaria entrata in vigore nell’anno accademico 2000/2001; si sono moltiplicati i corsi di laurea attivati che rientrano nella “classe di appartenenza n° 14 – Scienza delle Comunicazioni”, secondo la definizione del MUR (Ministero dell’Università e della Ricerca). Una selva di indirizzi professionalizzanti nei settori più disparati: editoria, giornalismo, telematica, spettacolo, radio e televisione, pubblicità, marketing, pubbliche relazioni e chi più ne ha, più ne metta. Ecco un esempio,fra i tanti: all’Università di Pisa , gli studenti possono scegliere tra Comunicazione Pubblica, Sociale e di Impresa ed una laurea specialistica in Sistemi e Progetti di Comunicazione. Per capire quali obiettivi si pone questo corso di laurea, che tipo di figure professionali si prefigge di creare, riportiamo una spiegazione offerta dal sito della Facoltà di Scienza delle Comunicazioni dell’ Università La Sapienza di Roma, come già detto una delle sedi storiche di questo corso di studi : “(…) Cosa vuol dire, concretamente, studiare comunicazione oggi? In primo luogo, imparare a riconoscere i meccanismi – potenti, ma spesso apparentemente impercettibili – di insediamento nelle menti e nei cuori delle persone, alla luce della centralità della comunicazione nella vita quotidiana; un nodo, questo, su cui ci sentiamo di dichiarare aperta, oggi più decisamente che in passato, la vertenza sulla “responsabilità” del comunicare: nei settori dell’informazione, della politica, delle istituzioni, del mercato. Si tratta, quindi, di padroneggiare la mappa di concetti e saperi specialistici a fondamento della disciplina, fino ai baricentri più avanzati di un patrimonio scientifico che, nel panorama internazionale, appare protagonista di una continua espansione. Infine, di riuscire a rilanciare questa dimensione critica entro una sempre aggiornata conoscenza dei settori, delle tecniche e dei linguaggi che governano le diverse performance della comunicazione, a fronte dei cambiamenti senza precedenti della contemporaneità.”. Un progetto davvero ambizioso fatto di tante, belle parole e forse per questo destinato a rimanere sulla carta.Quelle che il MIUR considera “attività formative indispensabili”dei futuri comunicatori, comprendono una serie di esami molto eterogenei tra loro, raggruppati in tre gruppi di discipline che spaziano dalla semiotica alla linguistica, dall’informatica a “discipline sociali, mediologiche e della comunicazione politica” e una lista interminabile di “attività formative caratterizzanti”, dove compaiono “discipline dei linguaggi e delle tecniche dei media, del design e della grafica, discipline psicosociali, giuridiche ed economico aziendali” che dovrebbero offrire una preparazione sia di base che più specialistica ai futuri “comunicatori”, ma che finiscono per dare un’infarinatura di cultura umanistica e pseudo-tecnologico-scientifica che assume la connotazione negativa della “tuttologia”; un significativo esempio di “entropia” del nostro sistema universitario. Restando in territorio lariano, il già citato corso di laurea attivato qualche anno fa a Varese, presenta nel triennio esami che spaziano (e sono solo alcuni esempi) tra “comunicazione pubblica e sociale” , “filosofia delle scienze sociali”, “tecniche espressive e composizione di testi in italiano”,”fondamenti di informatica” ,”linguaggi politici”, “gestione dati e archivi”,”sociologia dei processi culturali e comunicativi”,”etica della comunicazione e deontologia professionale”. E nel biennio specialistico, indirizzo Comunicazione Digitale e Scientifica, compaiono esami che probabilmente hanno a che fare con la comunicazione come “Storia dell’informatica e della comunicazione digitale” , ma altri , come “Storia e risorse della montagna”, che francamente, sembrano non avere alcun nesso logico con questo percorso di studi. Non c’è da meravigliarsi, dunque, se oltre che a Springfield, la città degli Simpson, anche a Porta a Porta, in una puntata del 19 gennaio scorso, Bruno Vespa abbia usato toni da Cassandra sul futuro dei laureati in Scienza delle Comunicazioni; provocando levate di scudi da parte di studenti e docenti interessati, che hanno sfogato il loro risentimento su blog e forum vari. Negli ultimi anni , stante probabilmente anche l’incertezza in cui navigano tanti giovani riguardo al loro futuro professionale, si riscontra un calo significativo degli iscritti in totale. Aggregando i dati di tutte le università italiane che hanno istituito Facoltà di Scienze della Comunicazione o che hanno attivato corsi di laurea che rientrano in questa classe, notiamo che nell’anno accademico 2003/2004 erano 53746 gli studenti iscritti di cui 33295 donne , che sembrano preferire questi studi rispetto agli uomini. Nel 2008/2009 gli iscritti totali scendono a 40250 , di cui 25072 donne . Ancora più significativo è il calo delle immatricolazioni che negli stessi anni scendono da 16273 a 4663 e le rappresentanti del gentil sesso sono rispettivamente 9600 e 3168. (dati del MUR, Ufficio di Statistica). Sorge il dubbio che molti aspiranti comunicatori abbiano poi deciso di orientarsi verso facoltà “storiche”, Medicina e Chirurgia, Ingegneria, ecc. dove ancora il mercato del lavoro offre (e offrirà in futuro) maggiori sbocchi professionali.