Nella settimana del festival di San Remo, Como dedica un pomeriggio ai versi dei trovatori: un viaggio alle origini della poesia, quando la letteratura era canzone.
Un viaggio alle origini della poesia, quando ancora parola e musica erano legate in modo indissolubile. Un pomeriggio durante il quale sembrerà di tornare idealmente indietro nel tempo, al medioevo, per ascoltare, rielaborate in modo originale ed attualizzate, le melodie dei poeti provenzali, i trovatori (e trovieri se operavano nella Francia del nord e scrivevano in lingua d’oil). Una tradizione importante, quella della poesia lirica per musica inaugurata dai trovatori, che ha permeato il medioevo romanzo degli ideali e dell’immaginario cavallereschi, della concezione di amor cortese. Questa è la magia che ricreeranno questo pomeriggio alle ore 17, presso L’Università della Terza Età “A. Volta” in collaborazione con La Casa della Poesia di Como, i componenti del gruppo di musica popolare Trata Burata. Nome che è quasi uno scioglilingua e che è il titolo di una filastrocca bergamasca, perché di Bergamo sono questi originali musicisti, impegnati a diffondere la musica popolare e delle origini; far apprezzare a un pubblico sempre più numeroso la straordinaria capacità che queste melodie hanno di parlare ancora al cuore dell’uomo contemporaneo, perché, parafrasando Umberto Saba, sentimenti e valori umani sono eterni, hanno una voce e non variano. Spesso i trovatori affidavano i loro componimenti a menestrelli e giullari, sorta di cantori e giocolieri ambulanti, in parte saltimbanchi e in parte aedi. La canzone profana, spesso associata alla danza, rendeva più incisivo il ritmo, vincolandolo alla parola “volgare” e lo arricchiva allontanandolo “dalla svagata e incontrollata libertà del gregoriano”, come fa notare Massimo Mila nel saggio “Breve Storia della musica” (Einaudi). E attraverso le voci e il suono degli strumenti dei moderni menestrelli, i musicisti e cantanti del gruppo Trata Burata, potremo gustare la freschezza della vita popolare nelle canzoni di vario genere, sia in quelle in cui si manifesta il senso della natura, come nella pastorelle e nella reverdie, sia in quelle che cantano amori “clandestini”, come la chanson d’aube, o nelle canzoni storico narrative e drammatiche, o ancora le varie forme di canzoni da ballo, come la balede e il rondeau. Ascolteremo così canzoni d’amore come Kalenda Maya (Calendimaggio in provenzale) di Raimabau de Vaqueiras trovatore in lingua occitana vissuto tra la fine del dodicesimo e l’inizio del tredicesimo secolo, i cui versi tanto ricordano quelli degli autori del nostro Dolce Stil novo, come possiamo capire leggendo le prime due strofe: “Né calenda di maggio / né foglia di faggio / né canto di uccello / né fiore di gladiolo / c’è che mi piaccia, / nobile e gaia signora, / finché uno svelto / messaggero io riceva / dalla vostra bella / persona, che mi riferisca / di un nuovo piacere, / sicché amore mi attiri / e giaccia con voi / e mi spinga verso / voi, dama sincera; e cada ferito / il geloso / prima che mi ritiri. / / Mia bell’amica, in nome di Dio, non avvenga mai / che il geloso rida / del mio male, / perché pagherebbe caramente / per la sua gelosia, / se separasse due / amanti come questi; / perché io non sarei / mai più gioioso, / né, senza di voi, / gioia mi varrebbe: / tale via prenderei / che più nessuno mai / mi vedrebbe; / il giorno / che vi perdessi, / dama eccellente, / io morirei”. O sorrideremo all’irruenza e all’audacia dei testi che spesso caratterizzano i Carmina Burana, raccolta di canti goliardici in un latino “maccheronico” che si fonde con le lingue volgari e prendono il nome dal chiostro del monastero benedettino di San Beuren, in Germania. Contrasti e corrispondenze nuove nascono tra la musica, la parola e il verso. Originalità, e innovazione caratterizzano la melodia profana dei trovatori, da cui prende origine la musica cosiddetta “popolare”, che rivendica autenticità e valore rispetto alla musica aulica ufficiale. Musica fatta per essere cantata e “rappresentata” nelle piazze e nelle strade, che coinvolgeva i passanti, rapiva la loro attenzione, li divertiva, li faceva sognare cancellando anche se solo per breve tempo, preoccupazioni e dolori e consegnava alla loro memoria le melodie orecchiabili, i ritornelli dalle facili rime. E come non vedere nei trovatori e menestrelli gli antenati degli chansonier e dei cantautori contemporanei, che hanno riunito nella loro figura il ruolo dell’autore e del cantante ? “Attorno al cantautore si riunisce un pubblico di ascoltatori che possono con lui ripeterne la musica e le parole (…) si concentrano sul momento dell’esecuzione e dell’ascolto, si ritrovano in una comunità di valori e di esperienze” scrive Remo Ceserani nel saggio “Il testo poetico” (Il Mulino). Nel ricco repertorio in programma, non mancano i Cántigas de Sancta María: creati nel XIII secolo dal re di Castiglia Alfonso X il Saggio, sono simili alle laudi italiane, canzoni religiose in volgare sorte dalla spontaneità della fede popolare che nel nostro paese nacquero e si diffusero insieme ai movimenti religiosi che nello stesso secolo interessarono l’Italia del nord e del centro. E poi canzoni e ballate della tradizione musicale celtica, tipica di Irlanda e Scozia: ballate d’amore come “Star of the country down”, “Irish Washer Woman”, che accompagna il “jig” tradizionale danza popolare, “Pride of Pimlico”, del patriota e politico irlandese Arthur Griffith, “To the Beggin I will go”, canzone popolare scozzese del XVII secolo che inneggia con toni satirici ai vantaggi della vita del mendicante. Dal passato al presente, i “Trata Burata” non hanno dimenticato di inserire tra le canzoni che suoneranno “The Great Song of Indifference” dell’irlandese Bob Geldof, che con parole forti e ritmo aggressivo condanna l’individualismo e l’abulia che imperano nel nostro tempo e “Take her in your arms” del cantante folk scozzese Andy M. Stewart. E abbandonando la mente alle note e alle parole, tra suoni di flauti, violini, liuti, chitarre e percussioni, avremo la possibilità di ripercorrere idealmente la storia della musica folk, e di ascoltare parole di poesia, connubio perfetto tra due forme di arte tanto affini. (Tratto da L’Ordine del 18 Febbraio 2012)