Riscatto di madre che a 50 anni osa ritornare donna
Rimettersi in gioco a cinquant’anni. Non è facile, soprattutto per una donna, specialmente se libera professionista o imprenditrice. Non c’è niente da fare: la maternità, questo miracoloso atto creativo, dono immenso d’amore offerto e ricevuto, è spesso difficilmente conciliabile con la realizzazione professionale. Il modo di vedere il mondo, la percezione del tempo della donna è diversa da quella dell’uomo. Come diverso è il modo di intendere e vivere l’etica. E, senza per questo voler cadere nei noti stereotipi di maschile e femminile, è l’“etica della cura”, secondo la definizione della psicologa americana Carol Gilligan, a caratterizzare l’agire della donna: «un fare, un ascoltare, un accompagnare che porta al sentire», come ha ben sottolineato la pedagogista Rosanna Cima. Perché prendersi cura è vivere i luoghi quotidiani della vita insieme agli altri. Significa interrogarsi su come comportarsi, come essere affinché chi è oggetto delle nostre cure, un bambino, un adulto, un vecchio o un malato, possa sentirsi e dunque essere anche soggetto della propria vita.Ed è la donna in genere a “prendersi cura”: della casa, della famiglia, degli anziani, del suo lavoro. Questo costa un’immane fatica. Devi dividerti in tante parti in relazione alle esigenze del momento, avere una capacità camaleontica di adattamento ad ogni ambiente e situazione nell’arco della giornata: efficiente sul lavoro, imparziale educatrice, accorta consigliera, tenera consolatrice e molto altro. Poliedrica e sfaccettata, come un cristallo. Puoi tendere al massimo la corda, ma quando è sul punto di spezzarsi è d’obbligo prendere una decisione, spesso sofferta: lasciare il lavoro per dedicarsi alla famiglia.E a nulla sembrano valere le varie direttive europee in materia di pari opportunità di genere, le strategie di gender mainstreaming, le azioni positive, e tutte quelle iniziative che spesso rimangono scritte sulla carta, belle parole lontane dai problemi, piccoli e grandi che ogni donna si trova quotidianamente ad affrontare. Quando i figli sono in tenera età non si ha tuttavia il tempo di rimpiangere ciòche si è lasciato: i bambini ti riempiono il cuore e la vita.Poi, però, le cose cambiano. I figli crescono (anche se rimangono “figli per sempre”), raggiungono una propria autonomia ed ecco che ti guardi indietro e ti chiedi che cosa hai costruito fino a quel momento. Ti sembra di non vedere niente, dietro di te, solo una nebbia di ricordi fatti di pannolini, biberon, ansie per le malattie dei piccoli, notti insonni a cullarli, problemi legati alla scelta dell’asilo nido, della scuola materna, della baby sitter per chi non ha la fortuna di poter affidare ai nonni il pargoletto.Certo, non hai rimorsi nei confronti dei tuoi figli: l’impegno dedicato alla loro formazione è ripagato nella maggior parte dei casi con la certezza di aver gettato le basi sulle quali costruiranno la loro autostima, di aver trasmesso loro dei principi, dei valori sui quali basare la loro futura vita di adulti.Ma tu ti senti come svuotata, priva ormai di obiettivi da raggiungere, di progetti da portare a termine. E magari, alla soglia dei cinquant’anni, pensi di rimetterti in gioco, perché in fondo, anche con questa sensazione di vuoto che avverti dentro, sai di aver accumulato quell’equilibrio, quella sicurezza e, perché no, quel “fascino discreto” tutto interiore che solo l’esperienza di una vita in parte vissuta ti possono offrire.E allora scopri di avere tempo, finalmente, di poterti dedicare a te stessa, a sogni magari solo abbozzati nella mente in precedenza e sempre trascurati perché sconfitta dalla continua corsa contro il tempo. E anche se, per grazia di Dio, ancora hai genitori anziani da accudire e comunque sempre il peso della gestione familiare sulle spalle, ti decidi a cercare di concretizzare quel sogno. Conosco donne che hanno avuto il coraggio, anche in tempi di crisi come questo, di scommettere sulle proprie risorse e capacità. Donne che hanno fiducia in loro stesse e questo rimettersi in gioco ha permesso loro di chiudere un capitolo della loro vita per “scriverne” un altro, tutto da inventare. E coloro che lo hanno fatto sono miracolosamente ringiovanite, senza dover ricorrere a fittizi interventi di chirurgia estetica, affrontando con serenità anche momenti difficili.Daniela Gatti, comasca, è una di loro. Architetto, ha rinunciato alla sua professione per crescere le sue due figlie. Poi ha sentito il bisogno di non fermarsi. Ha iniziato per puro diletto a frequentare corsi di pittura su ceramica, perché sin da ragazza, quando frequentava il liceo artistico, ha amato il disegno e la pittura. Un hobby che presto è diventata una passione, il desiderio di perfezionare la tecnica per dare forma a tante nuove idee creative. E quindi, dopo i corsi che le hanno insegnato varie tecniche di pittura, è passata a modellare lei stessa la ceramica, a foggiare forme originali, oggetti d’arredo e monili da indossare. Plasmare la materia, malleabile e plastica, per creare figure geometriche regolari e irregolari, forme ispirate al regno vegetale, per poi ravvivarle con colori divario genere, dalle classiche polveri da mescolare con oli particolari, ai lustri, colori cangianti dai mille riflessi metallici a base di polveri d’oro e d’argento. E poi abbinare queste forme a fili d’argento intrecciati a formare globi di filigrana, cristalli opalescenti, medaglioni appesi a fili di caucciù intrecciati. Vederla lavorare nel suo piccolo laboratorio è capire come il confine che divide arte e artigianato sia spesso sfumato e indefinito. E oltre a creare oggetti frutto di un lavoro che unisce creatività ad un costante impegno per affinare la tecnica, perché da cosa nasce cosa, il desiderio di trasmettere ad altri queste competenze acquisite in anni di studio e lavoro: entrata a far parte dell’Associazione no profit Assodonna di Como, Daniela Gatti tiene corsi per insegnare a bambini e adolescenti l’arte antica e intramontabile della pittura su ceramica.Bastano creatività, volontà e un po’ di coraggio per realizzare i propri sogni. Anche se non si hanno più vent’anni.un vecchio o un malato, possa sentirsi e dunque essere anche soggetto della propria vita.Ed è la donna in genere a “prendersi cura”: della casa, della famiglia, degli anziani, del suo lavoro. Questo costa un’immane fatica. Devi dividerti in tante parti in relazione alle esigenze del momento, avere una capacità camaleontica di adattamento ad ogni ambiente e situazione nell’arco della giornata: efficiente sul lavoro, imparziale educatrice, accorta consigliera, tenera consolatrice e molto altro. Poliedrica e sfaccettata, come un cristallo. Puoi tendere al massimo la corda, ma quando è sul punto di spezzarsi è d’obbligo prendere una decisione, spesso sofferta: lasciare il lavoro per dedicarsi alla famiglia.E a nulla sembrano valere le varie direttive europee in materia di pari opportunità di genere, le strategie di gender mainstreaming, le azioni positive, e tutte quelle iniziative che spesso rimangono scritte sulla carta, belle parole lontane dai problemi, piccoli e grandi che ogni donna si trova quotidianamente ad affrontare. Quando i figli sono in tenera età non si ha tuttavia il tempo di rimpiangere ciòche si è lasciato: i bambini ti riempiono il cuore e la vita.Poi, però, le cose cambiano. I figli crescono (anche se rimangono “figli per sempre”), raggiungono una propria autonomia ed ecco che ti guardi indietro e ti chiedi che cosa hai costruito fino a quel momento. Ti sembra di non vedere niente, dietro di te, solo una nebbia di ricordi fatti di pannolini, biberon, ansie per le malattie dei piccoli, notti insonni a cullarli, problemi legati alla scelta dell’asilo nido, della scuola materna, della baby sitter per chi non ha la fortuna di poter affidare ai nonni il pargoletto.Certo, non hai rimorsi nei confronti dei tuoi figli: l’impegno dedicato alla loro formazione è ripagato nella maggior parte dei casi con la certezza di aver gettato le basi sulle quali costruiranno la loro autostima, di aver trasmesso loro dei principi, dei valori sui quali basare la loro futura vita di adulti.Ma tu ti senti come svuotata, priva ormai di obiettivi da raggiungere, di progetti da portare a termine. E magari, alla soglia dei cinquant’anni, pensi di rimetterti in gioco, perché in fondo, anche con questa sensazione di vuoto che avverti dentro, sai di aver accumulato quell’equilibrio, quella sicurezza e, perché no, quel “fascino discreto” tutto interiore che solo l’esperienza di una vita in parte vissuta ti possono offrire.E allora scopri di avere tempo, finalmente, di poterti dedicare a te stessa, a sogni magari solo abbozzati nella mente in precedenza e sempre trascurati perché sconfitta dalla continua corsa contro il tempo. E anche se, per grazia di Dio, ancora hai genitori anziani da accudire e comunque sempre il peso della gestione familiare sulle spalle, ti decidi a cercare di concretizzare quel sogno. Conosco donne che hanno avuto il coraggio, anche in tempi di crisi come questo, di scommettere sulle proprie risorse e capacità. Donne che hanno fiducia in loro stesse e questo rimettersi in gioco ha permesso loro di chiudere un capitolo della loro vita per “scriverne” un altro, tutto da inventare. E coloro che lo hanno fatto sono miracolosamente ringiovanite, senza dover ricorrere a fittizi interventi di chirurgia estetica, affrontando con serenità anche momenti difficili.Daniela Gatti, comasca, è una di loro. Architetto, ha rinunciato alla sua professione per crescere le sue due figlie. Poi ha sentito il bisogno di non fermarsi. Ha iniziato per puro diletto a frequentare corsi di pittura su ceramica, perché sin da ragazza, quando frequentava il liceo artistico, ha amato il disegno e la pittura. Un hobby che presto è diventata una passione, il desiderio di perfezionare la tecnica per dare forma a tante nuove idee creative. E quindi, dopo i corsi che le hanno insegnato varie tecniche di pittura, è passata a modellare lei stessa la ceramica, a foggiare forme originali, oggetti d’arredo e monili da indossare. Plasmare la materia, malleabile e plastica, per creare figure geometriche regolari e irregolari, forme ispirate al regno vegetale, per poi ravvivarle con colori divario genere, dalle classiche polveri da mescolare con oli particolari, ai lustri, colori cangianti dai mille riflessi metallici a base di polveri d’oro e d’argento. E poi abbinare queste forme a fili d’argento intrecciati a formare globi di filigrana, cristalli opalescenti, medaglioni appesi a fili di caucciù intrecciati. Vederla lavorare nel suo piccolo laboratorio è capire come il confine che divide arte e artigianato sia spesso sfumato e indefinito. E oltre a creare oggetti frutto di un lavoro che unisce creatività ad un costante impegno per affinare la tecnica, perché da cosa nasce cosa, il desiderio di trasmettere ad altri queste competenze acquisite in anni di studio e lavoro: entrata a far parte dell’Associazione no profit Assodonna di Como, Daniela Gatti tiene corsi per insegnare a bambini e adolescenti l’arte antica e intramontabile della pittura su ceramica.Bastano creatività, volontà e un po’ di coraggio per realizzare i propri sogni. Anche se non si hanno più vent’anni. (Tratto da L’Ordine del 16/12/2011)