Leggendo l’intensa raccolta di poesie “L’indifferenza del Cinghiale” del poeta, giornalista e operatore culturale Pietro Berra, edita da I Quaderni del Bardo e impreziosita dalle fotografie di Mirna Ortiz Lopez, mi è venuto alla mente il bellissimo libro di Gaston Bachelard La poetica dello spazio dove il filosofo si propone di esaminare “immagini molto semplici, le immagini dello spazio felice”, evidenziando “il valore umano degli spazi di possesso, degli spazi difesi contro forze avverse, degli spazi amati”. In particolare mi riferisco ai capitoli dedicati alla casa come dimensione intima, luogo di protezione, rifugio che “sostiene l’uomo attraverso le bufere del cielo e le bufere della vita” e “protegge il sognatore”. Perché sognatore è Pietro Berra, come lo sono tutti i poeti, per i quali l’immagine, citando sempre Bachelard “emerge alla coscienza come prodotto diretto del cuore, dell’anima, dell’essere dell’uomo colto nella sua attualità”. È mi pare che questa affermazione si riscopra in tutta la sua verità in questi versi del nostro autore, dove afferma che “il personale è poetico”; ma è proprio la capacità del poeta di dare senso alle parole che crea il miracolo della poesia: fare del personale una dimensione universale
“Il personale è poetico
e poeticamente vi possiamo dire
che la distanza nell’amore
è direttamente proporzionale
alla fiducia che si deve dare
al sogno che si è capaci di sognare
alla poesia cui non possiamo rinunciare.
La casa dove vive Pietro Berra è uno spazio di luce immerso nel verde, all’inizio di un sentiero che porta, attraverso il bosco, al paese di Brunate. Le ventidue poesie dedicate a questo luogo sono state scritte, tranne una, come l’autore stesso ci dice, durante il periodo di quarantena, di isolamento sociale che tutti noi abbiamo dovuto rispettare a causa della pandemia da Covid 19 che ha colpito, in modo più o meno grave, tutti i Paesi del mondo. Un periodo di “tempo sospeso” dove la casa è diventata il “dentro” che protegge da un “fuori” avvertito per tanti giorni non come spazio di quotidiana libertà, ma con un senso di inquietudine se non addirittura di paura. Giorni trascorsi insieme ai propri familiari, durante i quali molti di noi hanno riscoperto anche semplici, piccoli gesti d’ affetto trascurati nei ritmi frenetici che la contemporaneità impone alle nostre vite, come Berra sembra voglia dirci:
“Eppure questi giorni
mi hanno offerto l’occasione
per riguardare te
che mi sei sempre stata compagna
di vita e ora anche di scrivania.
E oggi mi sono scoperto trepidante
ad attenderti di ritorno dalla tua missione…
in farmacia”.
La casa diventa così “Gioco dei giochi”, “nostro mondo nel mondo/dove le maschere da indossare le scegliamo noi”. Il bosco che l’avvolge come in un manto verde protettivo, il bosco dove respirano gli alberi e si nascondono e talvolta fanno capolino gli animali, è in queste poesie elemento che ha una dimensione magica; sembra ricordarci gli albori della storia dell’uomo, perché, come ha scritto Jaques Brosse nel libro La mitologia degli alberi “Fin dall’origine il destino degli uomini fu associato a quello degli alberi con legami talmente stretti e forti che è lecito chiedersi che ne sarà dell’umanità che li ha brutalmente spezzati”. In un mondo ormai perduto attorno alle piante nascevano miti straordinari, “ad ogni albero venivano attribuite caratteristiche particolari perché in ciascuno di essi il mistero della natura e quello del divino trovavano un diverso equilibrio”. Ed è il poeta che con parole di limpida verità sembra ricordarci questo mondo perduto
“I castagni che oggi mi offrono rifugio
dal su e giù degli umani e delle loro angosce
sono la nostra coscienza inascoltata”. E ancora:
“La legge del bosco
prima dei decreti degli uomini
mi aveva abituato a camminare
da solo sui sentieri.
Gli alberi sussurrano
non puoi rischiare di parlargli sopra”.
Sembra esserci una tacita, misteriosa intesa tra il poeta e le piante, esseri viventi che parlano in un sussurro di fronde e alle quali Berra si rivolge con il rispetto e la fiducia che si devono agli amici:
“Io non abbraccio gli alberi
ma oggi ho sentito
che mi dava una carezza
il tiglio mentre lo liberavo
dal morso del fil di ferro.
Io non abbraccio gli alberi
ma il bagolaro mi ha teso una radice
mentre tentavo di raggiungere
il muro sbrecciato
dove camminano i mufloni”.
È la natura a offrire al poeta la resilienza, ad aiutarlo a superare quel senso di vuoto e insicurezza che tutti abbiamo sentito durante questa triste primavera. E non solo le piante, ma anche gli animali del bosco, le faine, le volpi, i cinghiali, gli insetti, fino alle pietre che il poeta raccoglie “con dedizione”.
È significativo come, ad esempio, il termine radici torni in molti versi (“Radici” è anche il titolo di una poesia della raccolta). Berra sembra voglia farci riflettere su una cosa importante: il silenzio e l’isolamento che ci hanno accompagnati in questi mesi, il dolore di chi ha perso persone care a causa del virus, ci hanno forse fatto capire quanto sia importante l’essere legati ai propri affetti, ai propri luoghi, ai ricordi perché di questo è fatta la nostra vita, perché questo siamo noi tutti. Sono le stesse radici degli alberi che “tenevano assieme i nostri antipodi/ come un gancio interplanetario”, recitano i versi della poesia “Conoscersi è un bit”, dedicata alla moglie Mirna. Una poesia dove l’amore ha la stessa forza e profondità, appunto, delle radici.
Una sorta di “riscoperta” del poter stare insieme più a lungo sia pur in modo virtuale, è evidente in una commovente poesia “Quadri da una chat”, che Berra dedica al figlio e che esprime in una sorta di pacato rimpianto e di grande tenerezza, la potenza di un legame indissolubile, perché i figli sono figli per sempre:
“Chissà se dopo questa quarantena
saremo capaci di tornare
ad abbracciarci
come quando eri bambino”.
Mi sembra di percepire in questa raccolta, che merita di essere letta con attenzione, una sorta di climax che potrei riassumere citando ancora una volta una frase di Bachelard: “È un fatto: la poesia contiene una felicità che le è propria, qualunque sia il dramma che essa debba illuminare”.
Laura Garavaglia