L’articolo pubblicato ieri sul Corriere della Sera dal titolo “ L’Europa vacilla, mettiamola in versi” e firmato da Claudio Magris mi ha lasciata , a dir poco, perplessa.
Magris si scandalizza per il fatto che l’Unione Europea abbia indetto un concorso per trovare “uno scrittore particolarmente dotato per la poesia lirica, che possa mettere in versi la carta dei diritti fondamentali” sperando che “il contenuto della carta acquisti maggiore rilevanza”. Tratto da L’ORDINE del 05/06/2010
E, insistendo sui ben noti problemi dei quali ormai da tempo proprio noi, cittadini dell’Unione, sentiamo il peso sulle spalle, senza che l’eminente scrittore ce li ricordi (“l’euro vacilla, la disoccupazione cresce , problemi di ogni genere investono tutti i paesi dell’Unione , si rendono necessarie austere misure che abbassano la qualità della vita , si chiudono grandi istituzioni culturali”) mette in dubbio la serietà dell’Ue stessa , pur affermando di essere un “fervido patriota europeo” , si indigna accusando i promotori del concorso volerne fare “ un’arcadica pastorelleria”.
Poi, proseguendo nella sua “illuminante” analisi, aggiunge che ad essere vittima dell’ “involontaria presa in giro dei promotori del concorso non è solo l’Unione Europea, ma anche e forse ancora di più la poesia , degradata (…)a enfatica trombonata o a leziosa bomboniera”.
Ed è proprio qui che sbaglia, a mio modesto parere, l’illustre scrittore. Perché la poesia non ha certo lo scopo di addolcire amare pillole o addormentare gli spiriti con rime da operetta “crisi/fiordalisi”e , mi si consenta la licenza poetica volutamente apocalittica, “problemi/crisantemi”. Né di scadere in noiosa, sterile , inutile retorica.
La poesia, quella grande, quella vera parla un linguaggio universale, che va oltre ogni differenza etnica, linguistica, religiosa, culturale. Parla il linguaggio della vita di ogni essere umano, il cui significato profondo non ha limiti riduttivi.
La poesia offre una chiave di lettura della realtà, è ricerca del senso delle cose, offre la possibilità di rischiarare momenti bui della nostra personale esistenza, di resistere e infondere coraggio per affrontare drammi epocali collettivi. Altrimenti non si spiegherebbe il bisogno di “mettere la vita in versi”, come recita una straordinaria poesia di Giovanni Giudici, che è stato e che è ancora di tanti grandi poeti.
L’idea di mettere in versi la Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea a me pare un’idea originale e brillante.
Spesso infatti testi giuridici come questo, risultano infarciti di un linguaggio burocratico che rende difficile e alla lunga noiosa la lettura da parte dei non addetti ai lavori.
Perché dunque non parlare di libertà in ogni sua accezione, di rispetto della dignità umana , di uguaglianza in forma poetica? La poesia, anzi, è il genere letterario che per la forza, la violenza della sua parola puòmeglio fare breccia , scavare nell’animo umano, far riflettere in profondità sui problemi legati alla nostra esistenza.
La poesia non conosce i limiti della superficialità e dell’insignificanza. Ed ha dunque la possibilità di sperimentare, elaborare , fare propri linguaggi appartenenti ad ambiti diversi, giuridico, economico, scientifico, informatico…
Negare alla poesia la possibilità di poter esprimere in versi i molteplici problemi che affliggono il mondo contemporaneo significa sì farne un mero, pedante, sterile esercizio di forma, il che equivale a negare la poesia stessa.
Mi auguro quindi che la partecipazione al concorso indetto dall’Unione da parte dei poeti sia numerosa da ogni parte d’Europa.. Questo proverebbe anche che tanti cittadini credono davvero in una “identità europea”.
Anzi, sogno che ne nasca un poema in versi, o un poema in prosa (penso al grande Baudelaire) da leggere con attenzione unita a quel piacere che solo la musicalità della parola poetica puòtrasmettere.
L’unica avvertenza agli “europoeti”: tenere ben presente la frase che chiude il saggio “Riflessioni sul vers livre” di Thomas Eliot , “Esistono buoni versi, cattivi versi e il caos.”