“La poesia, in sé, non esiste –esiste soltanto di volta in volta, e ogni volta inaudita, ogni volta imprevedibile e irrecusabile, ogni volta identica solo a se stessa nelle parole dei poeti”. Trovo illuminante questa riflessione sulla poesia di Giovanni Raboni, riportata dalla poetessa Patrizia Valduga sul volume da lei recentemente scritto “Italiani, imparate l’italiano!” (Edizioni d’If). Credo che questo grande poeta, scrittore e giornalista abbia sintetizzato in questa frase il senso del ποιείν, del “fare” poetico. Essere poeta significa amare in modo profondo le parole, riuscire a coglierne il suono e il ritmo insieme al significato. Il linguaggio poetico è infinitamente ricco di significati, molto di più rispetto al linguaggio che ogni giorno usiamo per comunicare. Permette di mettere in relazione il conscio con l’inconscio, il noto e l’ignoto, la realtà e il sogno. La parola poetica non “dice”, ma “svela” l’essenza delle cose. Tratto da L’ORDINE del 24/05/2011.
Essere poeti non è una condizione privilegiata, né una folgorazione
sulla via di Damasco, improvvisa illuminazione, espressione di uno stato
d’animo.
Non si tratta di trasferire sulla carta il proprio piccolo
mondo per farlo conoscere agli altri e rischiando così di essere banalmente
autoreferenziali (anche se questa è una comprensibile, umana tentazione). è necessario
invece aprirsi al mondo e agli altri perché il nostro vissuto si arricchisca, essere,
per usare una bella definizione del poeta Giancarlo Majorino, “singoli di
molti”, cercando di assorbire il più possibile i multiformi aspetti della
realtà e avere soprattutto una insaziabile sete di conoscenza in ogni ambito
della cultura: artistico, letterario, scientifico.
Scrivere poesie è lavoro dell’intelletto, prima che del
cuore.
Sono d’accordo con il poeta Giampiero Neri quando afferma
che sono entusiasmanti le cose che non si capiscono. Ogni poeta dovrebbe
entusiasmarsi per ciòche gli sembra oscuro perché questa condizione di non
conoscenza è stimolo per esplorare, decifrare, penetrare fino in fondo la molteplicità
del reale, cercare il senso più profondo delle cose.
Dunque, come sopra accennavo, l’amore per l’arte in tutte le
sue forme, pittura, scultura, musica, danza, teatro, l’interesse per la storia
e la filosofia e per i progressi della scienza e della tecnica, ritengo che
tutto il sapere debba rientrare negli interessi di un poeta, perché anche molte
espressioni tratte dai linguaggi settoriali sono fonte inesauribile a cui
attingere per fare poesia.
Il linguaggio poetico dà alla parola un’importanza
fondamentale. Il poeta sa che la parola, ogni parola, non potrà mai esprimere
fino fondo il significato di ciòche si vuole comunicare, perchè “il non detto”
è proprio ciòche sostanzia la poesia, che è fatta anche di silenzio e di
attesa.
Ho avuto l’interessante occasione, quest’anno, di essere
nella giuria della sezione poesia edita del prestigioso Premio Antonio Fogazzaro
giunto quest’anno alla sua quarta edizione, che celebra il centenario della
morte del grande scrittore. Il limite di età per partecipare alla sezione
poesia edita è stato fissato a 50 anni.
Molti importanti premi di poesia hanno sezioni
esclusivamente riservate alle nuove generazioni: penso al Premio Cetonaverde, al
Premio Mauro Maconi (quest’anno alla sua prima edizione), al Premio Laurentum, ma
l’elenco potrebbe continuare.
Per chi come me ama e si occupa di poesia, è interessante
leggere i versi di altri poeti, indipendentemente dal livello più o meno alto
che gli autori riescono a raggiungere.
è un modo per cercare di capire dove va la poesia italiana e
soprattutto chi sono e cosa scrivono i giovani poeti, anche i meno conosciuti, spesso
al loro esordio.
Non si parla più di correnti, né di scuole. Se è vero che la
poesia “esiste di volta in volta nelle parole dei poeti” è anche vero che ogni
poeta deve conoscere la storia della poesia e aver letto, fatto propri i versi
dei grandi autori del passato, avvertire l’eco di quei versi e cercare di
andare oltre per poter dire qualcosa di nuovo, di originale. Non è facile.
Molti giovani poeti pensano che fare poesia significhi usare
un linguaggio “alto”, usando parole “dotte”, un linguaggio ridondante fine a se
stesso. La poesia, come si è detto, si nutre della nostra quotidiana esperienza,
della capacità e sensibilità che ha il poeta di cogliere in ciòche
apparentemente diamo per scontato il significato vero della nostra esistenza. è
difficile dire cose profonde con parole semplici, ma la grandezza della poesia
sta proprio in questo. Cito, a titolo di esempio, due grandi poeti del Novecento:
Umberto Saba e Vittorio Sereni.
Amore, esplorazione della realtà odierna, magmatica e frammentaria,
volontà di reagire alla leopardiana “infinita vanità del tutto”, a volte
impegno politico e civile sono temi che emergono con maggiore frequenza dai testi.
Molti autori preferiscono il verso libero, nel quale probabilmente avvertono
una maggiore possibilità di espressione. Altri invece si cimentano con la forma
chiusa.
Mi piacerebbe sapere chi sono le persone di cui leggo le
poesie, quali sono le storie personali di ciascuno degli autori che, a volte, trapelano
in modo più o meno evidente dai versi.
Scrivere poesie non è certo un compito facile: la prosa
concede tempo e spazio assai più ampio per esprimere idee, concetti, esperienze.
Il romanziere, il saggista dilatano il tempo e lo spazio a loro piacimento.
Il poeta sa che il tempo e lo spazio della poesia sono
concentrati in poche parole e che il testo poetico ha struttura complessa
stratificata.
Non è un mestiere facile, se mestiere si puòdefinire, quello
del poeta. Ed è per questo che, come ha scritto Umberto Saba : “voi lo sapete
amici e anch’io lo so, /le poesie son come bolle di sapone, / l’una sale e
l’altra no”.