La poetica della cosa non può considerarsi una vera e propria antologia di poesie. Raccoglie alcuni testi di cinque poeti che vivono o hanno vissuto tra Lombardia e Svizzera, come viene indicato nel sottotitolo. L’autore, Giorgio Tettamanti, ex professore di italiano, greco e latino nei licei classici di Como A. Volta e P. Giovio, ha voluto “in modo molto eccentrico”, come lui stesso dichiara nella prefazione, riproporre all’attenzione dei lettori “un momento di notevole importanza della critica letteraria italiana”, ossia la pubblicazione dell’antologia intitolata Linea Lombarda, che uscì nel 1952 a cura di Luciano Anceschi; raccoglieva le voci di sei poeti situati a cavallo tra la terza e la quarta generazione: Vittorio Sereni, Roberto Rebora, Nelo Risi, Renzo Modesti, Giorgio Orelli, Luciano Erba. Il termine linea dà l’idea di unire e al contempo delimitare: la provenienza geografica degli autori permetteva di accomunare poeti che avevano in comune un forte sentimento etico, una “moralità lombarda” già presente nelle opere del Parini, del Manzoni e del Porta, da una effettiva attenzione alla realtà. Una poesia in re “che si faccia corpo, che si possa vedere e toccare” (Luciano Anceschi). Un’interpretazione della poesia fondata, anche se legata a un particolare momento storico. Forse, più che di una linea, è possibile parlare di un “clima” culturale che ha favorito una comunanza di idee, principi, propositi, un particolare modo di percepire la realtà da parte dei poeti antologizzati da Anceschi, quasi tutti allora esordienti, tranne Vittorio Sereni. Non a caso questa ideale “linea” ha poi incluso poeti che presentavano caratteristiche comuni ai sei autori sopra citati non originari del territorio lombardo, come Bartolo Cattafi, o appartenenti alle generazioni successive, come per esempio Elio Pagliarani ai suoi esordi, Giovanni Giudici, Giorgio Cesarano, Giancarlo Majorino, Giovanni Raboni, Tiziano Rossi, Maurizio Cucchi. I poeti della “linea” (come altri, non necessariamente legati ad una comune origine “lombarda”, compresi nell’ antologia Quarta generazione di Luciano Erba e Piero Chiara, uscita due anni dopo quella di Anceschi) vivono in modo intenso i cambiamenti di ordine economico, sociale e culturale che si verificano nel periodo in cui esordiscono: la difficile ricostruzione postbellica, il mutamento del paesaggio legato allo sviluppo industriale, l’immigrazione dalle regioni meridionali e la conseguente espansione delle aree metropolitane e di conseguenza il lento cambiamento degli insediamenti tradizionali e del tessuto urbano e sociale delle città, il crescente consumismo, il nuovo assetto della situazione politica mondiale nel clima della “guerra fredda”. La loro è una poesia che si concentra sulle cose e sulle persone che appartengono alla realtà quotidiana e l’intensità delle emozioni, dei sentimenti, delle idee, non vengono espressi in modo diretto: oggetti, persone, paesaggi sembrano materializzarsi sulla pagina e parlare al lettore. Possono così essere individuati alcuni elementi costanti nei versi degli autori antologizzati da Anceschi: “il primato del buono sul bello e della sostanza sull’apparenza”, “un culto degli oggetti che vengono restituiti alla loro fisicità carica di senso e di poesia”, “un’etica che la vince sull’estetica” (Rodolfo Quadrelli). Su questi poeti ha influito tutta una tradizione legata alla “poetica degli oggetti” che risale a Pascoli e attraverso i crepuscolari, arriva fino a Montale e il correlativo oggettivo di Eliot, mediato da Montale. E questo porsi di fronte alla realtà, oltre che nelle esperienze dei poeti lombardi, emerge in modo nuovo anche nelle “frantumazioni dei Novissimi”[1] .Il clima, come sopra detto è tuttavia nuovo. Rispetto all’ermetismo e al neorealismo, è un modo diverso di porsi da parte poeta di fronte alla realtà: senza schemi prestabiliti, la poesia nasce, come sopra accennato, nel momento in cui l’io del poeta avverte l’attrito, la fisicità, è “dentro” la materia dell’oggetto e le parole ne rivelano la presenza. Da una poesia ante rem o post rem a una poesia in re.
Queste breve e certo non esaustiva nota sul significato e l’importanza che Linea Lombarda ha avuto nell’ambito della poesia italiana del Secondo Novecento (basti pensare ai seminari che nel tempo sono stati dedicati a questa “corrente” della poesia, tra i quali quello che si è tenuto nel maggio del 2023 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano) e di cui ancora oggi, mutatis mutandis, si avvertono gli echi in molti poeti contemporanei italiani, vuole sottolineare come Tettamanti mi pare abbia preso spunto dall’antologia di Anceschi per fare un’operazione originale e “un po’ provocatoria”: inserire in base ai suoi gusti personali, un poeta che ha scritto i suoi componimenti in latino, Padre Giovanni Battista Pigato, cappellano durante la campagna di Russia le cui atrocità sono tema del poemetto in latino Pax in bello (nel 1959 ottiene una Magna Laus al “Certamen poeticum Hoefftianum” di Amsterdam); Giorgio Orelli, poeta considerato “Lombardo della Svizzera”, e, come sopra scritto, uno dei poeti della “Linea Lombarda”; Fabio Pusterla, poeta, traduttore e saggista ticinese; Davide Bernasconi, in arte “Van De Sfroos”, noto cantautore e scrittore i cui testi in dialetto “lagheée” riescono a trasfigurare in un alone di luce poetica, tra amara ironia e autentica commozione, storie e vicende di personaggi reali e anonimi dei paesi del lago di Como e della vicina Svizzera. Tra questi poeti Giorgio Tettamanti ha avuto la gentilezza di inserire anche me.
Testi in latino, italiano e dialetto degli autori sopra citati, dove Tettamanti ritrova echi della Linea Lombarda, ma sottolineando come il titolo del libro La poetica della cosa pone una distinzione di “carattere semantico, ma soprattutto teoretico”[2] dalla “poetica degli oggetti”; l’autore, seguendo una sua linea di pensiero, riporta poi episodi del passato, legati in particolare a due poeti inclusi nell’antologia, Padre Pigato, di cui è stato allievo e Davide Bernasconi, di cui è stato professore e da questi ricordi parte per analizzare testi come Pax in bello, che ha come sfondo la tragica ritirata di Russia (Padre Pigato partecipò infatti alla campagna di Russia come tenete cappellano) e come Breva e Tivánn di Davide Bernasconi e include nell’antologia anche un’introduzione alla poesia di Giorgio Orelli del poeta Luigi Picchi, mentre lascia a Fabio Pusterla e alla sottoscritta la libertà di presentare i testi pubblicati nell’antologia.
Quello che nel sottotitolo del libro viene indicato come “un viaggio tra italiano, latino e dialetto” è “in primo luogo una proposta culturale (…) per fermarsi a riflettere e pensare (…) Con la poesia”.[3]
Laura Garavaglia
[1] Le istituzioni della poesia, L. Anceschi, Milano, Bompiani, 1968
[2] La poetica della cosa, G. Tettamanti. New Press Edizioni 2023, pag. 10
[3] Ivi, pag. 24