La poesia di Rosa Maria Corti è un canto d’amore che l’autrice dedica al “suo” lago. Già nel titolo del libro “Il mio Lario” (LietoColle, 2011) è espresso il motivo dominante che attraversa queste liriche: il paesaggio lacustre percepito e vissuto come luogo dell’anima, interiorizzato e trasfigurato da una sensibilità acuta e penetrante, che è prerogativa di ogni poeta.
Tratto da L’ORDINE del 28/08/2011.
Nei versi dell’autrice aleggia una grazia naturale, una felice leggerezza, tratti distintivi di questa silloge: Rosa Maria Corti non rinuncia ad espressioni “poetiche”, ad un linguaggio lirico che sembra essere “codificato”, presente nella concezione di poesia che hanno ancora oggi molti fra coloro che in Italia scrivono versi. Corti fissa nelle sue poesie immagini del lago e sensazioni che in lei queste hanno suscitato. Ne nascono eleganti bozzetti, animati dal richiamo alla mitologia classica(“Precipita il carro di Fetonte/e già s’avanza Plutone/mentre il giorno degrada,quasi lento”), come osserva Luigi Picchi nella prefazione. E il richiamo alla classicità è un valido espediente per fissare momenti e luoghi cari all’autrice in una dimensione senza tempo.Atmosfere idilliache, colori, profumi, sapori sono resi con pennellate impressionistiche ed ogni poesia offre al lettore scorci del lago che appartengono ai ritmi lenti e dilatati del passato (“Qui il frantoio del tempo/macina solo più lento”), quando i rumori erano quelli dei “poveri strumenti umani”, come recita una sublime poesia di Vittorio Sereni, “Ancora sulla strada di Zenna”, nella quale l’io lirico trasfigura mirabilmente scorci del Lago Maggiore, tanto caro al poeta. Un paesaggio, quello che ci offre la poetessa, dove il tempo è sospeso (“Qui non succede mai niente (…) Qui il frantoio del tempo/ macina solo più lento”) e il ritmo delle stagioni sempre uguale (“Ascolto voci che dicono/di ritmi profondi/e rintocchi lontani,/a sera, di campane”), dove scompaiono automobili, barche a motore, deturpanti prodotti delle speculazioni edilizie, ferite aperte lungo le sponde e sui pendii dei monti che coronano il nostro lago.L’autrice identifica il proprio stato d’animo con i mutamenti che stagioni, mesi, giorni e in fondo ogni istante del tempo della nostra vita operano sul paesaggio, come nelle poesie “Favole in riva al Lario” (“Trasognata mi fingo/un sentiero solitario/dove ricerco parole/per raccontare storie,/per trasformare sogni/in favole alate/che sorvolano i monti,/poi scendono piano/ad accarezzare l’onda/che in cerchi si spande/come a moltiplicare/gli orizzonti del mo sentire”) e “Sera d’Aprile”: (“Ma ora l’occhio s’inebria/del verde novello che sfuma/in azzurro là dove il lago/lambisce la sponda,/là dove s’innalza il monte”; o come nei versi di “In Laude Larii Laci” (“Aspiro le fragranze estive/mentre cammino sul pianoro/dove fioriva un tempo l’asparago/e splendevano rossi grappoli a mazzi”).Molti sono ancora oggi gli autori innamorati del nostro lago, poeti che vivono e scrivono del “loro” Lario. Tra questi Rosa Maria Corti ci offre un libro organico e coerente nell’impostazione, liriche ricche di gentili abbellimenti metafore, similitudini, sinestesie , versi che offrono una immediata comunicazione di emozioni e sentimenti, immagini nitide che alternano momenti di sincera e luminosa felicità ad altri velati e sfumati da una sottile malinconia.