Non è un caso se la poesia, forse più di altre arti, si stabilizza e trova il suo equilibrio per sottrazione, nel lamentare costantemente una mancanza. Pare un po’ impossibile non cadere sempre nello stesso tranello di poesia/verità o Poesia come ricerca di Verità, anche in una dimensione di “rassegnazione” e appartenenza a certi limiti.
Laura Garavaglia, La
simmetria del gheriglio (Stampa, pag. 74, euro 11,00)
Non è un caso se la poesia, forse più di altre arti, si
stabilizza e trova il suo equilibrio per sottrazione, nel lamentare
costantemente una mancanza. Pare un po’ impossibile non cadere sempre nello
stesso tranello di poesia/verità o Poesia come ricerca di Verità, anche in una
dimensione di “rassegnazione” e appartenenza a certi limiti. E dal momento che
un’unica verità non esiste, ecco compilarsi l’eterno limite della poesia, la
perenne mancanza, il desiderio (quale naturale effetto dell’assenza) e quindi
l’ossessiva ricerca. Meglio allora tracciare il proprio campo d’azione,
circoscrivere un tema, allearsi con qualche disciplina che con la poesia,
apparentemente, ha poco a che fare ma che puòrestituire al verso il rigore, lo
stile, il modo per liquidare quelle tante verità che la poesia vorrebbe
assolutizzare. Lo fa Laura Garavaglia con “La simmetria del gheriglio” (Stampa,
pag. 74, euro 11,00), la nuova opera in versi della poetessa comasca, la cui
traccia manifesta è proprio la volontà di non voler inseguire alcun assoluto. Fugge
quindi da ogni tentazione metafisica, di linguaggio innanzitutto. Cromosomi, atomi,
geni dove anche la nascita è qualcosa di
vischioso, compatto e dove la nostra imperfezione viene riflessa anche
dagli oggetti, da ciòche potremmo definire le ore basse dell’esistere: A chi le chiedeva frammenti di vita/
rispondeva monosillabi di mare o gite fuori porta./ Poi c’era solo l’odore
stantio sulle scale, la serratura/ rotta, il frigo vuoto. Si dipana di
pagina in pagina un’antiretoricità sostenuta, appunto, da un’esperienza di
lacaniana béance (sentimento della
mancanza), declinata dal quotidiano all’esistenziale, e viceversa. Ma è forse
questa impossibilità di perfezione, tradotta dalla scienza, resa sopportabile
dalla poesia, che diviene anche la cifra che riesce ad esprimere la vita, pur
in un senso di separazione e di scissione. Garavaglia ce lo dice in versi di
limpida e sabiana chiarezza: Amo la
scienza che non lascia/ spazio all’inganno del tempo. E se anche è vero che
la mela matura finirà per marcire, l’autrice, forse affidandosi a letture di
dawkinsiana memoria, osserva come l’atomo
resta, ritorna/ il silenzio del cosmo. Garavaglia lascia aperto il gioco
tra relativo ed eterno, facendoli coincidere sapientemente nella consapevolezza
di una “fine” che si nutre con costanza di contrasti: «un vero e proprio libro
organico – come osserva Maurizio Cucchi in prefazione – efficace anche nel
progetto, nel quadro dei suoi rimandi e delle sue simmetrie interne». Con una
sorta di grazia razionale, maschile e linguaggio asciutto, “la simmetria” del
poeta, che a tratti ricorda le contemplazioni meccaniche di Bacchini, ci dice
le differenze e le ripetizioni di una natura che tutto assorbe e rigenera, le
assolute verità della ciclicità animale, vegetale rispetto al fitto mistero
dello spazio-cosmo, i codici indecifrabili della vita.
Mary B. Tolusso