Basilio Luoni è nato e vive a Lezzeno, in una casa che si affaccia sul lago, le pareti “tappezzate” di scaffali ricolmi di libri e tele da lui dipinte, le finestre che invitano lo sguardo a perdersi tra acqua, cielo e montagne. Classe 1941, ha insegnato materie letterarie presso la scuola media locale a generazioni di suoi compaesani. Ha tradotto classici della letteratura francese per editori come Rizzoli e Rusconi, il filologo e critico Dante Isella ha inserito alcune sue poesie in dialetto in uno dei volumi “Nuovi poeti italiani” editi da Einaudi. Tratto de L’ORDINE del 22/09/2009
E’ un uomo riservato, di poche parole. Concisione nell’esprimersi e profondità di pensiero costituiscono un connubio che è prerogativa di un numero sempre più esiguo di persone. Luoni è, appunto, una di queste. Ed ha anche la capacità di trasmettere la sua vasta cultura umanistica senza ostentazione, con la naturalezza con cui ti offrirebbe un caffè o un buon bicchiere di vino. Ecco, si puòcentellinare ogni sua parola. Da anni si occupa di teatro, in modo del tutto originale: traduce testi di autori greci, latini, italiani ed europei, soprattutto francesi, in dialetto lezzenese e li porta sulla scena facendo recitare attori autoctoni. “Ho iniziato negli anni ’60, quando ero un giovane insegnante” – ricorda -“Al teatro dell’oratorio le recite erano sempre lacrimose. Pensai a pièce più divertenti, comiche. La scelta del dialetto permetteva una recitazione disinvolta, dato che gli attori erano tutti abitanti del paese, e in particolare miei alunni. In famiglia, allora, si parlava abitualmente il dialetto”. E l’uso di quest’ultimo per tradurre opere letterarie è per il professore “laghéé” un modo per riaffermare una lingua viva, anche se sempre meno usata nella quotidianità, da contrapporre all’italiano di oggi, che soprattutto nel parlato (ma non solo, purtroppo) è diventato “una lingua di palta” ,come la definisce Luoni, impoverita e involgarita dal linguaggio televisivo. “Già diversi anni fa avevo intuito che il dialetto era considerato ancillare rispetto all’italiano. Mi sembrava importante che si salvasse, perchè costituisce un arricchimento per l’italiano stesso, in quanto ha il pregio della concretezza e della precisione ”. E se gli si chiede cosa ne pensa riguardo ad una eventuale insegnamento nelle scuole, scuote la testa, perplesso. “Non si puòchiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Sarebbe anzitutto difficile trovare degli insegnanti, inoltre non esiste una grammatica dialettale e le parole variano da un paese all’altro. Per esempio, la parola campasc che in lezzenese significa grande gerla per il trasporto del fieno, nella vicinissima Bellagio diventa brea”. Certo, il dialetto non puòessere ridotto, in maniera troppo sbrigativa e semplicistica, ad una sorta di “koinè” che si sovrapponga alla straordinaria varietà dei vernacoli. Sarebbe appiattirne, scolorirne, svilirne la portata culturale. “E’ importante che il dialetto sia ancora la lingua nella quale si esprimono anche oggi tanti poeti, e non solo, naturalmente, sul Lario. La poesia ha bisogno di una lingua non troppo usata e convenzionale, proprio perché le parole acquistano un valore altamente simbolico, evocativo”. Dunque, mantenere vivi i dialetti locali, vigorosi, incisivi, attraverso generi letterari come il teatro e la poesia: entrambi hanno il pregio di creare empatia, coinvolgere, suscitare forti sensazioni ed intense emozioni. Ciòmotiva la nascita della ormai pluridecennale Compagnia Teatrale Lezzenese, attivissima ancora oggi, che ha visto negli anni improvvisarsi, appassionarsi alla recitazione e diventare attori, anche se solo a livello amatoriale, “almeno la metà degli abitanti del paese”. La scelta cadde su autori classici da tradurre in dialetto dalla lingua originaria, perché – aggiunge Luoni – “poeti e scrittori dialettali dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento, come Carlo Porta , Tommaso Grossi, il commediografo Carlo Bertolazzi e Carlo Dossi, trattavano temi non più attuali per la realtà di un paese del lago nel secondo dopoguerra e spesso i personaggi da portare sulla scena erano troppi”. Ed ecco nascere numerose rappresentazioni tratte dal repertorio di Molière, dove una irresistibile comicità si vena di contenuta amarezza : “ El pioeucc” (L’avaro), “Triful” (Tartufo), “El malaa in del coo” (Il malato immaginario), “Don Juan” (Don Giovanni), “El Giorgii Rampega” (George Dandin); ecco “I donn in Parlament” (Le donne a Parlamento) di Aristofane , trasformato in rivista musicale, con il coro che intona motivi degli anni ’30; e “La Tontena”, traduzione del Rudens di Plauto; “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare, recitato in parte in italiano (i nobili) e in parte in dialetto (i comici). E la vivacità, la freschezza , le mille, colorate sfumature del dialetto hanno incantato migliaia di spettatori, tanto che le opere teatrali di Luoni sono state rappresentate non solo in loco e in tanti paesi del Lario, ma anche a Milano, anni fa, al Teatro Pier Lombardo, su invito di Franco Parenti, presenti tanti intellettuali della città; il successo fu grande, tanto che Giovanni Testori, dopo aver assistito allo spettacolo, scrisse sul Corriere della Sera un lungo, entusiastico articolo su Basilio Luoni. Le sue vivaci rappresentazioni sono approdate fino alle colline senesi, nella magnifica tenuta di Enrico Thorn Prikker, davanti a spettatori d’eccezione, come lo scrittore Sergio Ferrero, scomparso nel 2008 e amico di Basilio Luoni, Mario Praz e Piero Citati. E come non ricordare “El Natal”, opera scritta per il teatro , pubblicata da Nodo Libri, e messa in scena qualche anno fa al Teatro Sociale di Como. Traendo spunto dai Vangeli, anche quelli apocrifi, il geniale professore di Lezzeno, riesce a rievocare in maniera coinvolgente il mistero della Natività; “la rude scorza del comasco lezzenese e l’impianto drammatico del testo ci riportano alle sacre rappresentazioni medievali, che in sè conservano intatto lo stupore della fede, riflesso negli occhi e nei cuori degli spettatori”, come osserva Gianfranco Ravasi nella prefazione al libro. L’ultimo lavoro di questo scrittore, poeta e pittore lariano e di cui non solo i suoi compaesani, ma tutti gli abitanti del lago dovrebbero essere orgogliosi, è la traduzione dell’Odissea di Omero,intitolata “El Baloss” (Il furbo), messa in scena quest’estate a Lezzeno e a Bellagio: il dialetto, che ha il dono di essere per sua natura pratico e ricco di simboli al contempo, riesce in questa nuova, straordinaria opera di Luoni ad esprimere il significato del viaggio, in senso concreto spostamento nello spazio e nel tempo e in senso simbolico, metafora dell’esistenza.