“Penso che la parola poesia, se nominata, diventa retorica, se definita dall’ autore, diventa tautologica. Sarebbe preferibile chiedere a una persona la sua idea del mondo e cosa pensa di farci vivendo”.
“Penso che la parola poesia, se nominata, diventa retorica, se definita dall’ autore, diventa tautologica”. Sarebbe preferibile chiedere a una persona la sua idea del mondo e cosa pensa di farci vivendo. Tutto questo per dire che se un essere umano, nella sua prima percezione cosciente della realtà, ha di questa una visione ostile; se egli la esprime a suo modo, e se tale modo convince qualcuno, poi molti. Se continua negli anni sostituendo quel suo mondo iniziale ad altri mondi “scontenti” e produce libri restando sempre fedele a se stesso, questi è un artista.”Sono parole di Cristina Annino,
tratte dal suo sito ufficiale. Credo sia un’ acuta definizioni del ποιεĩν, il
“fare” totalizzante in cui ogni artista
degno di dirsi tale confonde o meglio, con il quale, fonde la propria vita.
Confesso: non conoscevo la poesia
di Cristina Annino prima che me ne parlasse con parole di stima un poeta e critico letterario di indiscussa
autorevolezza: Maurizio Cucchi, che ha firmato la prefazione del nuovo libro
dell’autrice “Chanson Turca” (LietoColle, 2012).
E sarà dunque un’occasione da non
perdere poterla incontrare e ascoltarla dialogare con lui venerdì 18 maggio, alle ore 21 a La Casa della Poesia di
Como, in via Rovelli, 4, presso la sede de L’Ordine.
I libri della poetessa toscana sono stati molto apprezzati
da poeti, scrittori e critici importanti, tra i quali Franco Fortini, Elio Pagliarani, Walter Siti e
Michelangelo Coviello. E uno dei maggiori esponenti della poesia del secondo
Novecento, Giovanni Giudici, assegnòil premio Pozzale nel 1988 alla raccolta
di poesie “Madrid”, che un altro grande poeta, Antonio Porta fece uscire in
Corpo 10 (Milano).
Probabilmente non conoscevo
Cristina Annino perché la sua poesia non ha avuto il riconoscimento che si
merita. Forse perché alle “luci della ribalta” letteraria o pseudo letteraria l’autrice
ha preferito la serietà e il raccoglimento che ogni percorso artistico
richiedono. Un silenzio che puòdurare anni, fatto di ricerca e analisi del
“fuori” e “dentro” di sé, di sedimentazione delle esperienze molteplici, delle
contraddizioni che ci attraversano durante la vita, e che, come in un dipinto
cubista, altro non sono che tasselli da assemblare per ricomporre quell’immagine tanto sconvolgente nel suo
manifestarsi quanto vera che è la realtà.
E proprio da un’attenta, acuta
osservazione del microcosmo che circonda ogni nostra esistenza l’autrice
intraprende il suo viaggio apparentemente senza meta, muovendosi tra le cose e
le persone con l’intelligenza del cuore, la curiosità e l’entusiasmo che sono
prerogative del poeta, esploratore della multiforme realtà che lo circonda, facendo di ogni incontro, di ogni “attrito”
con l’esperienza quotidiana motivo di poesia. Capacità cioè di scandagliare il
fondale, non galleggiando in superficie, ma rivelando attraverso la parola
poetica “la verità che giace al fondo”, come recita un verso di Umberto Saba.
Poesie che sembrano escludere la dimensione del tempo per recuperare totalmente
quella dello spazio: non c’è un “prima” o un “dopo” nella potente visionarietà
delle immagini che la fervida creatività dell’autrice ci offre, c’è un “dove”
mai peròidentificato, uno spazio indefinito che ondeggia continuamente tra
realtà e sogno, spesso confondendosi e nel quale anche il lettore viene
coinvolto e si perde. O forse si potrebbe definire questa dimensione, prendendo
spunto dalla teoria della relatività, spaziotempo senza limiti o confini. Ci
sono persone (non voglio scrivere personaggi) che sembrano vivere, sulla
pagina, come se davvero le parole si trasformassero nella materia, nei corpi:
“Un po’ stanco. Nel bagno/passa in rassegna le nudità che odora:/i fianchi
sotto, sopra il torace , qualche villosità, /le natiche premono dietro, il
piede destro più/ corto. A posto la testa, con un lieve magari/ processo di
retrò.”; ci sono tanti animali che sembrano guardare con superiore distacco al
mondo incomprensibile degli uomini: il gatto Koko, il cane Wolfang, i cavalli,
il topo, inaspettato incontro da cui l’autrice è quasi affascinata. E poi ortaggi
e oggetti, come Maurizio Cucchi mette in rilievo nella prefazione “tutti più o
meno accolti nello stesso, vasto piano orizzontale”. Non esiste infatti un
ordine gerarchico che dia più importanza agli esseri viventi che alle cose,
perché anche queste sembrano prendere
vita nella poesia di Annino. E’ come muoversi avanti e indietro, di lato e in
obliquo nello spazio, perdendosi nei particolari, prestando attenzione al
dettaglio per poi, alla fine di ogni poesia, avere la sensazione comunque
dell’insieme. E’ una sensazione difficile da spiegare, ma è proprio così: la
poetessa ha il pregio di coinvolgervi, di “farvi entrare” nelle pagine, tra i
suoi versi, soffermarvi sulle parole e a un certo punto sentirvi smarriti,
ma proseguire nella lettura che vi affascina
e vi avvince, per poi ritrovare la strada e ricomporre l’immagine alla fine di
ogni poesia. In questo senso la sua poesia
è un grande, colorato caleidoscopio della realtà, che l’autrice ritrae
senza mai cadere nell’autobiografismo e nella retorica. L’autrice li evita
ricorrendo ad una sorta di maschera, il suo “io lirico maschile”, come lei
stessa lo definisce. Una forma di onestà e coerenza nei confronti della
scrittura che è di coloro (pochi in realtà)
destinati a lasciare un segno nella storia della poesia. Annino ha una
straordinaria capacità di “rivivere” situazioni ed esperienze, di presentarci
figure che ha incontrato durante la sua vita passando tutto al setaccio della
sua acuta sensibilità, scartando il superfluo e l’inconsistente per trattenere
solo la sostanza. E se la sua poesia può
apparire ad una prima lettura oscura, quasi ermetica è solo perché, come lei
stessa scrive “come la prosa ha il compito di semplificare il complesso, la
poesia ha la speciale libertà di complicarlo. Beninteso al di fuori di un
simbolismo o cripticismo, e dando per scontato che la metafora non deve essere
un paragone”.
Quella “speciale libertà” di cui
parla l’autrice è la sostanza stessa della poesia, che richiede cura e tempo
per essere letta e compresa, non offre facili ricette né dispensa pillole di
verità, ma certamente, se la si ama e si abita il suo linguaggio, aiuta a
vivere.