“Ho sempre cercato di tenere insieme vivere intensamente e scrivere. E l’allenamento alla scrittura è iniziato quando ero giovanissimo”. Giancarlo Majorino non ha dubbi: vita e scrittura sono state inscindibili, perché la scrittura è per lui attività dell’esistenza, ragione stessa di essere. Ottantadue anni, alto, magro, classe e semplicità unite nella naturalezza di ogni suo gesto, cordialità e capacità di relazionare che è caratteristica di chi è grande veramente e non ha quindi bisogno di apparire a tutti i costi; eloquio che affascina, perché ad ogni frase trapela la sua profonda cultura, che spazia tra filosofia, arte, architettura, sociologia, linguistica e letteratura. Tratto da L’ORDINE del 1/10/2010
Cultura non ostentata in modo pedante, ma rielaborata in modo personale e quindi capace di arricchire chiunque abbia la fortuna di dialogare con lui. E poi la capacità di osservare vizi, falsi miti e deboli valori del nostro tempo attraverso il filtro dell’ironia, presente anche nelle sue opere. E’ uno dei maggiori esponenti della poesia italiana del Novecento e contemporanea, critico letterario, docente di estetica, semiotica e analisi del linguaggio a livello universitario, autore di numerose raccolte di poesie, antologie, saggi critici e testi teatrali tradotti in varie lingue. “Mia madre era scrittrice di romanzi e novelle. Spesso si trovava con altri scrittori e come in un gioco ideavano nuove trame, creavano i personaggi e le loro storie, inventavano relazioni amorose tra i protagonisti . Io partecipavo sempre. Così posso dire che sin da ragazzo sono stato esperto d’amore e di scrittura .”E, giocando con le parole, l’amore per la scrittura ha condizionato anche i suoi studi, le mille professioni che ha svolto durante la sua lunga vita, “proprio come gli scrittori americani”, sottolinea: bancario, bookmaker, rappresentante, professore di storia e filosofia al liceo. Esperienze di lavoro disparate, ma che gli hanno permesso di entrare in contatto con tante persone, perché ha sempre avuto una grande “curiosità e simpatia nei confronti della gente” .Ha lavorato anche a Como, quando era ragazzo, in una banca in Piazza Cavour. Ma non rendeva molto, come impiegato: era troppo impegnato a studiare le persone, a cercare di capirne il carattere, immaginare le loro storie e le loro vite. “C’era un signore che veniva ogni giorno allo sportello per corteggiare un’impiegata neanche troppo avvenente”. Confessa che si divertiva un mondo e passava le ore ad osservare quel corteggiatore, un po’ ridicolo nella sue puntuali strategie di conquista. Ma questo, ovviamente, non ha giovato alla sua improbabile carriera all’interno della banca. Anche perché, appena poteva, usciva per godersi la bellezza del nostro lago, seduto a un tavolino del bar Monti. “Mi sono laureato in giurisprudenza perché lo volevano i miei familiari. Ma non mi è mai piaciuto quel genere di studi. Preparavo gli esami uno o due giorni prima di sostenerli, mi bastava superarli col minimo dei voti”. La sua passione vera è stata da sempre la filosofia, che ha studiato “sul serio” e che gli ha permesso, durante la sua lunga vita, di fare le esperienze più disparate, di poter esplorare la realtà in tutte le sue molteplici forme, osservare le persone, trovare somiglianze, differenze. Poter disporre, insomma, liberamente del proprio tempo, come dovrebbe essere per ogni poeta “che è in continuo ascolto di se stesso”, poter soddisfare quella curiosità verso tutto ciòche lo circonda, perché è ancora “innamorato del teatro della vita nelle strade”.E aggiunge che, durante la sua lunga esistenza, non ha mai smesso di leggere e studiare, soprattutto libri di filosofia. “Adoperiamo in modo inadeguato le nostre facoltà più preziose” afferma il poeta, perché continuare a studiare, anche in età adulta, è fondamentale per mantenersi vivi.Ogni giorno riceve una quantità enorme di scritti, poesie che giovani e meno giovani poeti sconosciuti gli inviano per avere un giudizio sui loro versi. “Il mio cruccio è di non riuscire a leggerli tutti” e quindi di lasciare nell’ombra qualche vero talento.“Riescono ad emergere sette o otto bravi autori ogni anno”.Parla dei giovani e afferma sarcasticamente: “ricordo una riunione a scuola, durante la quale i genitori mi chiesero cosa ne pensassi dei loro figli”, domanda retorica che implicava una risposta carica di allarmismi “io, invece, risposi, spiazzandoli, che mi preoccupavano molto di più loro, gli adulti”.I giovani, a suo avviso, sono disorientati, bombardati dai molteplici messaggi dei media tesi a consolidare stereotipi e modelli di vita. Tra le nuove generazioni ci sono infatti i “ potenziali consumatori del futuro”. Affronta il problema dell’ignoranza e della volgarità che caratterizzano l’odierna sottocultura. E’ un tema che Majorino ha analizzato sin dagli anni ‘50, nelle sue prime raccolte di poesie. E’ convinto che i filosofi abbiano da tempo trascurato un aspetto importante dell’esistenza umana, ovvero la dialettica tra “io” e “gli altri” ed è persuaso “di un esistere che potrebbe diventare non solo di singoli poeti, pensatori, eccetera. Perché noi siamo costituiti da altri, siamo come delle spugne che prendono e restituiscono, siamo singoli di molti, somiglianti oltre che dissimili”. “Senza tutto il mondo è niente”, come si legge in una poesia della raccolta “Lotte secondarie”.Viviamo in mondo dove è sempre più netta la contrapposizione tra individualismo, egotismo esasperato e massificazione, senza che esistano “vie di mezzo”, unica possibilità di superare l’irrigidimento di tali opposti estremismi, combattendo così “la dittatura dell’ignoranza”, perché, come recitano questi suoi versi “ non è che manchino affetti/manca il sapere/girano come ciechi”.La vita di questo grande poeta è stata ed è ancora intimamente legata alla sua poesia. “Viaggio nella presenza del tempo” è il poema steso in oltre quarant’anni , pubblicato la prima volta nel 2008. Poema epico, lirico e critico come l’autore stesso lo ha definito. Ha una dimensione di totalità, anche dal punto di vista stilistico e richiama opere dei grandi autori della letteratura: Dante, Shakespeare, Musil, Kafka. Poema di quel viaggio affascinante che è la vita .Sentimenti, soprattutto l’amore, passioni, idee e concetti, luoghi e persone che ci hanno plasmato, come una “aggregazione degli eterogenei”, si traducono in parole . Il linguaggio, per rendere viva e presente la nostra multiforme realtà non puòche abbandonare ingannevole e protettivo lirismo , così come nudo realismo , per sperimentare ed entrare, come acutamente osserva Maria Attanasio sulla rivista Il Verri, in una “dimensione atonale, che, abbattendo i generi e ogni distinzione tra lingua poetica e parlato, puòarrivare a contrarsi in parola sigla, (…) o dilatarsi in citazione”. “Il mio linguaggio strariperebbe, se non lo incanalassi” afferma il poeta “sono felice di padroneggiare la lingua, petrolio vivente”, aggiunge sottolineando la ricchezza che la lingua offre a chi si accosta con competenza alla scrittura. E’ la felicità che poeti e scrittori hanno il privilegio di avvertire e il dovere di trasmettere agli altri.