Cosa passa per la testa del genitore che delega al vigile. Tratto da L’ORDINE del 23/06/2010
Luca è andato in un bar, ha bevuto alcolici ed è tornato a casa ubriaco. E lo stesso è successo a Carlo, Matteo, Giulia e Martina. E a tanti altri ragazzi, tutti minori di sedici anni, età che, secondo il legislatore, segna il confina tra il dover essere totalmente astemi e poter scolare di tutto, dal vino ai superalcolici.
I genitori degli adolescenti in questione in preda (si spera) a una crisi di identità, non trovano di meglio da fare che telefonare al comando di polizia locale e chiedere ai poliziotti di andare nei locali a controllare che la legge venga rispettata dai gestori. I nomi dei ragazzi sono, naturalmente, di fantasia. Ma il fatto , purtroppo, è spaventosamente reale. E’ successo nei giorni scorsi a Cantù, ma avrebbe potuto accadere in qualunque altro posto.
E mi viene in mente un altro caso analogo, fresco di cronaca. Quello del tredicenne di una località vicina a Genova, che ammalato di Playstation, è diventato aggressivo nei confronti dei genitori e quindi ingestibile, secondo il loro punto di vista, al punto tale da dover far intervenire i carabinieri.
Siamo davvero nella dimensione dell’assurdo.
Come se per essere genitori, oggi, si dovesse controllare ogni volta il codice civile o quello penale, secondo il caso. E chiamare le forze dell’ordine per gestire situazioni, per mettere “ordine con forza”, appunto, in un caos educativo che non siamo più in grado di controllare.
Come se, per risolvere i problemi che inevitabilmente, in modo più o meno marcato, comporta il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e da questa alla cosiddetta “maturità”, i genitori si sentissero in un certo senso esentati dal loro ruolo, perché le colpe, si sa, si tende sempre a rovesciarle sugli altri per lavarsi in qualche modo la coscienza .
Ed ecco che, a turno, sono le cattive compagnie, la scuola con i professori “che non sanno capire gli studenti”, le discoteche, la “movida”, perfino i gestori dei bar, e tutti i capri espiatori di facili sociologismi e pedagogismi i colpevoli di fallimenti che spesso hanno radici profonde all’interno delle cosiddette dinamiche familiari.
Così o cerchiamo di giustificare ogni loro comportamento e per il nostro quieto vivere cediamo ad un lassismo deleterio, o al contario proiettiamo su di loro aspettative esagerate, in genere nate da situazioni di frustrazione che noi stessi abbiamo vissuto per “non essere riusciti a essere” ciòche volevamo.
Che svolgere “il mestiere di genitore” oggi sia uno dei compiti più difficili, nessuno lo nega. Bisogna lottare per trasmettere ai figli quell’autostima, quel senso di fiducia in se stessi , nelle proprie capacità che è indispensabile per affrontare con serenità la vita. Lottare perché, purtroppo, in un’epoca dove regna il nichilismo, “non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciòche occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia”, come ci illumina Heidegger.
E’ difficile, certo, trasmettere fiducia in un mondo dove tutto cambia in fretta , compresi i valori che dovrebbero essere il punto di riferimento della crescita, della formazione di un giovane.
E l’indolenza che spesso notiamo nei nostri giovani, quei processi di demotivazione che li spingono a stordirsi con la musica a tutto volume o, peggio, a ottundere la loro mente con droghe e alcolici è sintomo di un desiderio negativo, vissuto come mancanza, vuoto. Un desiderio insaziabile che si cerca di appagare inutilmente nell’immediato presente, perché il futuro appare oscurato da nubi sempre più dense e minacciose.
Me è proprio qui che sta la sfida. Aiutare i nostri figli a capire che il futuro deve essere immaginato, progettato e affrontato come promessa, non come minaccia.
E , prima di tutto, non si trasmette nulla e si diventa succubi di quell’ “ospite inquietante”, come lo chiama Umberto Galimberti nel saggio che ha lo stesso titolo, se non c’è dialogo tra genitori e figli.
Puòsembrare una banalità, ma è proprio così. Spesso ,noi genitori, siamo presi dalle mille preoccupazioni del quotidiano, il lavoro, gli impegni vari, la gestione della casa, ecc.
Non riusciamo a trovare il tempo per parlare con i nostri ragazzi. Il tempo per fermarci e chiedere loro quali sentimenti ed emozioni si agitano nei loro cuori ( e uso questo termine perché, durante l’adolescenza, il cuore, l’anima sono come un oceano in burrasca) , quali sono le loro incertezze e paure, se hanno progetti almeno per l’immediato futuro e, soprattutto, se hanno dei problemi. Perché se ne hanno ( magari a noi sembrano banali) è meglio non scherzarci sopra, ma prenderli sul serio e cercare una soluzione insieme. Sono proprio quelle che a noi adulti appaiono delle sciocchezze legate all’età che, se non prese sul serio e in tempo, possono trasformarsi in seri problemi.
E allora, cerchiamo di assumerci le nostre responsabilità di genitori. Cerchiamo di non mettere la testa sotto la sabbia per non sentirci in colpa, scaricando i nostri fallimenti sugli altri.
E’ molto più onesto, se abbiamo sbagliato (capita a tutti, perché educare spesso significa navigare a vista e dover continuamente correggere la rotta) riconoscerlo e rimboccarci le maniche per rimediare.
I nostri figli non hanno bisogno di avere con noi un rapporto “egualitario”, che ci fa comodo, perché significa dire sempre un semplice sì lasciandoli soli di fronte alle loro pulsioni e ansie. Né hanno bisogno di autoritarismo o di ricorrere alla situazione tristemente surreale di adottare mezzi coercitivi per imporre loro di non farsi e fare del male agli altri, come nei casi sopra citati.
Hanno bisogno, invece, della nostra autorevolezza, di sentirsi dire un “no” deciso, quando è il caso. Di sentire cioè che ci prendiamo cura di loro, che li amiamo.