Sciopero a oltranza. Altro colpo inferto ai poli universitari di Como e Varese, già messi a dura prova dai giochi di potere e dalle lotte interne tra rettore, prorettore e docenti, che ormai da tempo, come già è stato sottolineato sulle pagine de L’Ordine, non fanno che indebolire ulteriormente l’Università dell’Insubria, già in pessima salute. Tratta da L’ORDINE del 5/10/2010
Ora ci si mettono anche i ricercatori. Faranno sentire la loro voce , organizzando martedì 5 ottobre a partire dalle ore 14 assemblee e incontri aperte agli studenti e ai cittadini, che si terranno a Varese nell’Aula Magna della Facoltà di Scienze in Via Dunant 3 e a Como nell’Aula Magna in Via Valleggio 11, per spiegare in dettaglio le ragioni della protesta e le proposte di modifica del DDL Gelmini .La riforma universitaria definita “epocale” dal ministro prevede, tra i tanti cambiamenti in atto nel mondo accademico, contratti a tempo determinato, tre anni più tre al massimo, al termine dei quali, se il ricercatore sarà ritenuto valido dall’ateneo, sarà confermato a tempo indeterminato come associato. In caso contrario chiuderà il rapporto con l’università maturando peròtitoli utili per i concorsi pubblici. E anche ai circa ventimila attuali ricercatori a tempo determinato non saranno concesse deroghe o sanatorie. Per loro l’iter da seguire è lo stesso di coloro che oggi entrano nelle università.Il che significa, secondo i ricercatori, non una valutazione in base al merito e un abbassamento dell’età per entrare in ruolo a trent’anni invece che a trentasei, come sostiene il Ministro, ma l’abolizione del loro ruolo in futuro e il blocco nella progressione di carriere di chi è già in servizio. Considerando il fatto che attualmente i posti destinati al turn over sono solo il 20%, c’è infatti il rischio che la maggior parte di loro possano rimanere esclusi in futuro dall’insegnamento. Minacciano quindi di bloccare l’attività didattica per il prossimo anno accademico, se non si troverà un accordo con il governo.Quindi tempi doppiamente duri per gli studenti che hanno scelto di iscriversi all’Università dell’Insubria. Alla miccia innescata dalle diatribe locali tra togati si sommano gravi problemi che coinvolgono direttamente le attività dell’ateneo. Problemi che , come sopra accennato,sono comuni in questo periodo alla maggior parte delle università italiane, dato che i il 40% dei ricercatori dal 1990 sono costretti, anziché dedicarsi alla ricerca, ad una sorta di “volontariato” della didattica, coprendo cattedre che altrimenti rimarrebbero scoperte. Per fare dell’Insubria una realtà che avrebbe potuto rappresentare l’eccellenza, in grado di polarizzare, attrarre studenti non solo da altre regioni italiane ma anche dalla vicina Svizzera o da altri paesi (si veda l’esempio virtuoso del Politecnico), si sarebbe dovuta costruire in questi anni un’università radicata sul territorio, con poche facoltà che avessero un legame reale con la vocazione economica delle nostre aree . Una università della quale tutti potessero accorgersi, viva, culturalmente propositiva. Invece questo non è avvenuto. Sono prevalsi i giochi di potere, gli interessi personali che hanno sbilanciato un giusto e proporzionato bipolarismo tra le sedi comasca e varesina, penalizzando in modo particolare la prima. La sensazione è quella di un ateneo “fantasma”, polverizzato in varie sedi che ne rendono ancora meno percepibile l’esistenza, incapace di coinvolgere l’interesse dei cittadini e soprattutto del modo politico ed imprenditoriale del territorio, per elaborare un piano strategico che possa fare di Como una città universitaria in senso lato.A subire ingiustamente questa assurda situazione sono ancora una volta gli studenti. Niente lezioni, dunque blocco degli appelli di esame e delle sessioni di laurea. Ritardi inammissibili, costi ulteriori che gravano sulle spalle delle famiglie, che sono costrette a pagare tasse universitarie assolutamente sproporzionate alla qualità del servizio offerto, affitti per alloggi pressoché introvabili se non a caro prezzo per gli studenti che provengono da altre regioni e paesi perché l’idea del campus con relative residenze universitarie sembra essere diventata un sogno impossibile da realizzare. Che motivazione dovrebbero avere i giovani ad iscriversi in un ateneo che mette a nudo in modo inequivocabile le proprie debolezze e contraddizioni? Perché dovrebbero entrare a far parte di una realtà accademica che ha aspetti da teatro beckettiano?Ma come si puòpensare allo sviluppo economico di un territorio, di un paese se non si riesce a capire un concetto che appare elementare, cioè che il primo investimento da fare è proprio sull’istruzione e formazione dei giovani? Dopo una base culturale il più ampia possibile, che teoricamente dovrebbe iniziare dalla scuola primaria e continuare sino alla secondaria di secondo grado, l’università dovrebbe essere il luogo di formazione di eccellenze. E’ ormai indispensabile creare questo circolo virtuoso, per non perdere potenziali talenti che giustamente trovano altrove quel riconoscimento delle proprie capacità che in altri paesi è considerato un bene prezioso.Il blocco delle attività didattiche che i ricercatori hanno attuato all’Università dell’Insubria, giusto o sbagliato che sia, penalizza anche loro, in quanto fanno parte di una realtà accademica che non puòpiù ormai nascondere la testa sotto la sabbia, ma deve operare una scelta. Che puòessere “scelta letame” o “scelta diamante” come in modo provocatorio ha affermato il Prof. Mauro Magatti, preside della Facoltà di Sociologia dell’Università del Sacro Cuore di Milano al convegno sul futuro dell’ateneo dell’Insubria che si è tenuto nel gennaio scorso a Villa Grumello. Non è più possibile, ormai, rimanere nel limbo dell’indecisione e del “vivacchiare” o fingere di “cambiare tutto per non cambiare nulla”, come insegna Tomasi di Lampedusa.E dato che la “scelta letame” sarebbe assurda, in quanto economicamente e culturalmente improponibile, ecco che non resta l’unica soluzione possibile, quella dell’eccellenza. Altrimenti, con buona o cattiva pace di tutti, meglio porre fine a questa nostra improbabile vocazione di città universitaria.