Quali motivazioni , nel tardo Medioevo, indussero le donne comasche, come quelle di altre zone d’Italia, a prendere in mano carta e penna e – secondo una calzante definizione della professoressa Luisa Miglio, docente di Paleografia latina presso la facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università La Sapienza di Roma – a “governare l’alfabeto”?
La risposta è in parte racchiusa in un manoscritto databile tra la fine del XIV e il XV secolo, un testo devozionale, uno dei tanti posseduti in quel periodo quasi esclusivamente dalle donne. E’ un codice miscellaneo di piccole dimensioni (140X105mm), donato alla Biblioteca comunale di Como da Francesco Mocchetti nel XIX secolo e oggetto di una interessante ricerca, tesi di laurea discussa dalla dottoressa Michela Noseda. Sono Meditationes Vitae Christi , tratte dall’opera omonima in latino scritta tra il 1346 e il 1364 dal frate francescano Giovanni da San Gemignano, che si diffusero ampiamente tra i laici e in particolare nell’ambito delle confraternite. Nel codice comasco sono seguite da un Decalogo tratto dal vangelo secondo Giovanni e nelle ultime pagine è riportata una laude di Jacopone da Todi. Il testo è scritto in gran parte in dialetto lombardo italianizzato; i dialetti locali in questo genere di libretti erano ancora molto usati, nonostante il rapido diffondersi del volgare toscano nel corso del Trecento. Il codice è arricchito da 31 miniature, 30 della quali illustrano gli aspetti più patetici della passione di Cristo e l’ultima raffigurante Santa Marta nell’atto di sconfiggere il mostro di Tarasca, come narrato da una leggenda provenzale dell’XI secolo. Desiderio di dare consistenza all’immaginario femminile, guadagnarsi da vivere, colmare, anche se in minima parte, il divario con il sesso forte, che allora deteneva quasi totalmente il monopolio della scrittura; questi, per rispondere alla domanda iniziale che ci si è posta, alcuni dei motivi che spinsero le donne, in quei secoli davvero bui per l’universo femminile anche sul nostro territorio, a trovare nei libretti devozionali, non solo i principi di una catechesi elementare, ma la spinta a “interrogarsi e a riflettere sulla propria spiritualità”,come scrive l’autrice della tesi sopra citata. Sembra infatti che i testi delle Meditationes fossero scritti da copiste laiche per se stesse, commissionati da altre donne o dai parenti come dono alle novelle spose, e ciòè testimoniato da diversi ex libris; la lettura e la meditazione quotidiana di testi devozionali era pratica diffusa tra le rappresentanti del gentil sesso, anche tra chi apparteneva alla nuova borghesia mercantile o a ceti meno abbienti. Coloro che non erano alfabetizzate, allora numerose, potevano dedicarsi alla preghiera grazie alla ricchezza di immagini presenti in questi libretti e la dovizia di particolari delle stesse. Erano libri ideati e creati per essere consultati dalle donne e per la loro meditazione. E dalle immagini del piccolo manoscritto, possiamo anche ricavare un altro, interessante dato: non erano poche coloro che appartenevano a confraternite, in particolare in Lombardia e a Roma. Il codice miscellaneo ritrovato a Como riporta infatti, come si è già accennato, l’immagine più ricorrente nell’iconografia di Santa Marta in una delle miniature che occupa un’intera pagina. E compare anche una giovane donna: questo proverebbe la sua appartenenza alla confraternita devota alla santa. A Como tale ordine nacque attorno al 1260 e alla santa fu dedicata nel 1383 una chiesa, oggi distrutta, nei pressi di S. Abbondio, entro i confini della parrocchia di S. Bartolomeo.Testimonianza della diffusione del culto, sono le varie cappelle ed oratori a lei dedicati presenti sul territorio lariano. Appartenere ad una confraternita o vivere in maniera pia e devota a Cristo, ispirandosi ad esempi della vita di sante, come Marta, nel nostro esempio, era per la donna un modo, sia pure molto blando di affermare la propria identità di genere e un certo carisma almeno in ambito religioso, in un mondo che , in base al pregiudizio della “imbecillitas sexus” la sottometteva all’autorità maschile, imprigionandola in mille restrizioni istituzionali ed ideologiche, negandole una vita sociale e culturale. I libelli devozionali, come quello conservato nella nostra biblioteca , un vero gioiello non solo per gli esperti di codicologia, testimoniano dunque come anche in territorio lariano, in una società dove andava sempre più affermandosi il ceto mercantile,ci fossero dei primi, sia pur timidi, tentativi di riscatto sociale e culturale da parte della donna. E ciòavveniva appunto sia attraverso l’apprendimento della scrittura e della lettura, sia attraverso la devotio moderna , quel nuovo tipo di religiosità dove trovavano spazio emotività, pathos, sottolineando l’importanza dell’interiorità e dell’esperienza individuale.