“L’insegnamento della letteratura non è fine a sé stesso, ma rappresenta una delle vie maestre che conducono alla realizzazione di ciascuno”. Penso che ogni coscienzioso insegnante di materie letterarie dovrebbe tenere presente, questa frase di Tzvetan Todorov, tratta dal saggio “La letteratura in pericolo “ (Garzanti). Dovrebbe farne il motivo ispiratore di ogni suo programma. Tratto da L’ORDINE del 16/01/2010
Perché i docenti hanno gli strumenti per stimolare nei loro studenti l’amore per la lettura dei grandi autori, antichi, moderni e contemporanei, sia pur partendo dai limitati testi antologici, perchè poi ciascun allievo si indirizzi, anche in modo autonomo, alle opere che sente più vicine alla propria sensibilità. Lo studio dei vari generi letterari, l’analisi del contenuto e della forma di un testo narrativo o poetico, l’esercizio costante della scrittura ,sia che si tratti di un saggio breve, di un articolo di giornale, di un racconto, di un tema legato ai problemi del mondo giovanile, sono mezzi che i programmi scolastici offrono ai docenti per non perdere di vista l’orizzonte, raggiungere il fine ultimo dell’insegnamento letterario che è quello di approfondire la conoscenza dell’uomo e della realtà, arricchire la propria esistenza grazie al valore della bellezza. E in virtù di questo arricchimento, risvegliare la creatività che consiste nella capacità di far fiorire idee nuove, rielaborare esperienze vissute, narrate e cantate nelle opere degli autori , entrando in sintonia, dialogando idealmente con loro anche attraverso i personaggi caratterizzati e fare proprio quel bagaglio di esperienze. Un romanzo, una raccolta di poesie avranno valore artistico se realizzeranno un felice connubio tra capacità di elaborare delle idee, avere il coraggio di vivere sentimenti ed emozioni e capacità di scrivere. A volte, purtroppo, la scuola non è in grado di accendere negli studenti quella scintilla necessaria a trasformare, per chi ne ha il talento, una semplice passione nella ragione della propria vita. E allora, perché no, vengano anche i corsi di “scrittura creativa” oggi molto gettonati in Italia, già molto criticati negli Stati Uniti – come evidenziavano ieri i due articoli di Sara Bracchetti e Louis Menand su questo quotidiano – anche se tra il sostantivo e l’aggettivo avverto una sorta di ossimoro, perché intuizioni, bagliori, idee, ipotetiche trame di un racconto o di un romanzo devono passare al vaglio della ricerca della forma che meglio si adatti a rappresentarle. Un lavoro di lima attento, minuzioso, rigoroso che poco ha che vedere con il libero sfogo delle proprie emozioni. E a proposito di razionalità e rigore, non a caso,un grande matematico come Bertrand Russell fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1950; ad Aleksandr Solženicyn e John Coetzee, ambedue laureati in matematica , venne assegnato rispettivamente nel 1970 e nel 2003, come ricorda Piergiorgio Odifreddi nel saggio”Penna, pennello e bacchetta. Le tre invidie del matematico”. Ben vengano i suddetti corsi perché aiutano comunque coloro che sentono la necessità di mettersi in gioco, scommettere sulle proprie capacità, ad avere il coraggio di scrivere. Molti rimarranno, probabilmente, scontenti o delusi, poi, dei propri risultati. Altri si accontenteranno. Qualcuno tuttavia potrebbe scoprire di essere in grado di tentare sul serio l’avventura affascinante di diventare un bravo scrittore. E questo penso possa avvenire a qualsiasi età. Italo Svevo , e non è il solo esempio, raggiunse il successo con il suo capolavoro “La coscienza di Zeno”, quando aveva più di sessant’anni. Certo, non bisogna pensare che qualche lezione su come scrivere un romanzo trasformi un dilettante in novelli Italo Calvino o Umberto Eco. Possono solo essere uno stimolo per iniziare. E’ così per la narrativa e, forse ancora di più, per la poesia, genere letterario al quale sono sensibile in modo particolare. A volte mi sento dire che in fondo, per scrivere poesie , basta scarabocchiare sulla carta due pensieri del momento. Non è proprio così. In poesia la parola assume un significato simbolico, evocativo di straordinaria potenza e spesso il poeta ricorre all’uso di metafore , rapporti semantici fra le parole, come il correlativo oggettivo di Thomas Eliot; nel testo poetico è fondamentale il ritmo che hanno i versi per creare quell’armonia che lega intimamente la poesia alla musica e, eventualmente, la scelta della rima; l’io lirico del poeta puòesprimersi con toni orfici o visionari, come nelle poesie di Dino Campana o di Dylan Thomas e forse ancor più in Rainer Maria Rilke e William Butler Yeats; puòframmentarsi nei mille personaggi creati dalla fantasia di Fernando Pessoa; puòrivolgersi la propria attenzione alla quotidianità, alle umili cose ed ai piccoli problemi che ingombrano la vita di tutti i giorni e che nel canto si fanno metafora di esperienza universale, come in Umberto Saba o in Vittorio Sereni. E sono pochi, pochissimi esempi di grandi poeti. La scrittrice americana Susan Sontag affermava che l’”io che scrive”è una trasformazione, specializzazione, miglioramento in risposta a specifici obiettivi e specifiche lealtà letterarie, dell’”io che vive” e sottolineava come i suoi libri fossero composti, attraverso di lei, dalla letteratura. Questo forse andrebbe tenuto presente da tutti coloro che vogliano intraprendere “il mestiere di scrivere”.