Tra le varie recensioni al mio libro La simmetria del gheriglio, questa di Giovanni Tesio mi ha mi ha confermato la sua straordinaria capacità di leggere “oltre” le parole. Grazie a Giovanni Tesio.
Cara Laura, ho finalmente letto La simmetria del gheriglio e anche Correnti ascensionali, che del resto mi sembrano due libri connessi in unica soluzione (“correnti ascensionali” qui e là e dovunque). E devo dire che sono imbarazzato a parlarne, perché so che la mia serena convinzione critica potrebbe essere fraintesa come un atto di omaggio dovuto, mentre io sono stato davvero un lettore partecipe del mondo e delle cose cui le tue parole hanno dato vita. A cominciare da quella suggestioneche sembra prelevatada un’intera storia. Difficile, insomma,uscire da una lezione così seguitata in Lombardia, se non ricorrendo, lo so, lo so, alla vitanda lignée che “lombarda” si disse un tempo, nonostante tutte le coeve e successive diffidenze. Lezione della più alta brevità e densità (“scarnifico parole fino all’osso”). Ma al di là di questo (un certo “serenismo” mi par pure che ci sia qui, non riferendomi ad altri che a una sorta di capostipite della più antiretorica modernità, e non sono guidato, qui, dalla presenza di “stelle variabili” che direbbero pur qualcosa), a colpirmi è il sottofondo costante che accompagna ogni componimento: voglio dire quella coscienza del fatto che di ciòche siamo non rimanga “niente”. Nella tua poesia c’è una tale e contratta solennità di gesti domestici, abituali (“Sciolgo intuizioni nel lavello”). In questo, esemplare: “Quel posto le dava in fondo la sicurezza”. E anche quel quadro che si potrebbe ben presumere “coniugale” ove contassero qualcosa le occasioni (qui tiro a indovinare), e che frutta un testo tra i più belli e – senza deciderlo – tra i più programmatici. Nella casualità siamo gettati, e i “nostri quantici destini” s’accompagnano a malinconia, di certo a nostalgia, alla nostalgia di un ritorno che non si dà se non per “onde infrante” e “conchiglie spezzate” (“Siamo pietrisco/ scommesse mancate”). Mi piace di questa poesia il fondo morale che la sostiene e che mi è tanto congeniale (“C’è sempre la potenza del continuo./ Ci salva da insidiose sicurezze./ Libera il corpo dal veleno/ delle nostre certezze”). Mi piace il nitore esatto della tua misura. Mi piace la tentazione, ma forse mi verrebbe da dire meglio, la tensione epigrafica (che per fortuna non sempre forzi in chiuse o pointesobbligatoriamente rimanti). C’è tanta cultura lì sotto, ma anche tanta capacità di assimilarla e di dissimularla. Di tanto in tanto una spia, ma di tuo – profondamente – un ethos, ripeto, che ti qualifica come poeta “d’ambizione”. Vero, come dice Cucchi, che la cifra è fisico-matematica. Ma più vero – secondo me – che la scrittura è nella sua più piena sostanza lirica: un canto che non importa prenda le vesti dell’io, del tu, della terza persona, perché sotto tutte queste spoglie grammaticali pulsa la necessità di un dire che tende all’essenziale. Proprio come a me piace. Dopodiché non ho detto quasi niente e ben altro resterebbe da dire. Ma almeno a dirti che questa volta ho letto, e letto con adesione spontanea, non formale, più non volevo tardare. Depongo ora con profitto i tuoi due libri nei miei scaffali di poesia da cui ci sarà certo occasione di trarli per più accurate disamine.Giovanni Tesio