Ada Negri e le poesie nate a Cavallasca
Tratto da L’ORDINE di martedì 14/07/2009
Ada Negri conosceva ed amava il nostro lago. Era stata ospite varie volte e per lunghi periodi di Margherita Sarfatti, gentildonna ebrea affascinante, colta, brillante animatrice e divulgatrice della cultura italiana dei primi decenni del XX secolo, amante per molti anni di Mussolini, benché regolarmente sposata con il penalista Cesare Sarfatti. Nella splendida villa “Il Soldo” di Cavallasca, residenza estiva della famiglia,la poetessa trascorse gran parte delle estati durante la prima guerra mondiale. Ada era già una autrice stimata ed apprezzata. Aveva alle spalle il ricordo di un amore di gioventù, Ettore Patrizi, l’unica , vera grande passione della sua vita , emigrato in America per lavoro e non più ritornato. E un matrimonio fallito, separata da un uomo , l’industriale Giovanni Garlanda, proprietario di un lanificio a Vallemosso, nel biellese. Ada viveva in modo drammatico il conflitto tra le sue aspirazioni personali e la vita in un ambiente nel quale veniva soffocata, spenta ogni sua aspirazione, costretta in un ruolo, quello di moglie e madre remissiva, che non le apparteneva. Scrivere era per lei linfa vitale, era necessità dell’anima, unico, incisivo modo per denunciare le profonde disuguaglianze che dividevano le classi sociali. Lei che, figlia di una vedova che lavorava come operaia e nipote di un umile portinaia, aveva conosciuto, da bambina e da adolescente, l’odore stantio ed il colore grigio della miseria e sin da piccola aveva dovuto subire umiliazioni confrontando i propri giocattoli, i vestiti, lo squallore delle stanze in cui abitava con la ostentata ricchezza delle figlie dei padroni. Lei che, fino da quando era la giovane “maestrina” di Motta Visconti, aveva denunciato con veemenza e con la forza della poesia (nelle raccolte “Fatalità” e “Tempeste”) discriminazioni, ingiustizie che non riuscì mai a tollerare, anche quando divenne autrice affermata ed ebbe riconoscimenti ed onori, tanto che fu la prima donna ad essere ammessa alla Reale Accademia d’Italia, nel 1940. Lei che scriveva anche, forse inconsciamente, per gridare al mondo il proprio bisogno di affetto e comprensione riscattando attraverso il tema dell’amore, cantato con toni altamente lirici, la propria identità di genere. Come poteva un industriale di provincia, che proveniva da un ambiente chiuso ad ogni fermento culturale, occupato dai suoi affari, insensibile ai problemi sociali, capire una donna come Ada? Garlanda era geloso di lei, del grande successo che si era conquistata col proprio talento, con la forza di volontà e caparbietà che caratterizzavano il suo carattere a tratti ombroso. Non amava le famiglie che la moglie frequentava, definendole con disprezzo “sapute”; non gli piacevano quegli intellettuali sensibili ai problemi di assistenza, aiuto, solidarietà alle classi meno abbienti. Neppure la nascita di Bianca, “Biancolina”, come chiamava affettuosamente la Negri la sua primogenita – la seconda figlia, Vittoria, morì quando aveva un mese di vita – cambiò un rapporto che era destinato al fallimento. Nella grande casa di campagna dei Sarfatti, “vigilata da un solo cipresso gigante”, come scrisse Nino Podenzani nel ’30 nella biografia della poetessa, Ada si sentiva a suo agio. Margherita era per lei come una sorella. Passavano pomeriggi interi a parlare. La Negri trascorreva le ore in quel giardino fiorito, a guardare serenamente la figlia Bianca, allora adolescente, che discuteva, faceva progetti per il futuro, leggeva e commentava l’Odissea e i Poemi Conviviali del Pascoli insieme ai bellissimi figli di Margherita, Roberto (che arruolatosi tre gli alpini, cadrà in battaglia nel luglio del 1917 poco più che diciassettenne ),Amedeo e Fiammetta. E la Sarfatti, durante un soggiorno estivo a Cavallasca nel 1916 – “vacanze di guerra”, secondo la definizione del Podenzani – convinse “zia Ada”, come affettuosamente la chiamava, a rivedere e pubblicare in una raccolta con l’editore Treves, pagine di narrativa dedicate a figure di donne incontrate durante la vita, reportage che erano apparsi nel “Marzocco” e ne “Il Secolo”. Era la prima opera in prosa della poetessa. E’ certo che i soggiorni a villa “Il Soldo”, la serenità che infondeva nel suo animo il paesaggio lariano giovarono molto alla sua creatività: il volume venne accolto dal pubblico con entusiasmo e apprezzato dalla critica quando fu pubblicato, nel giugno del 1917. Tanto che, tornando a Milano, con i soldi che l’editore, certo del successo del libro, le aveva anticipato, si comprò un appartamento in via Guastalla e lo volle con un terrazzo coperto da piante di glicine profumato, un angolo che in città le ricordasse il soleggiato giardino della villa , le aiuole di fiori colorati, un luogo che le era rimasto nel cuore. E proprio perché, con sensibilità tutta femminile, ascoltava i propri sentimenti, nell’aprile 1922, la Negri tornò sul Lario, a Torriggia, frazione di Laglio. Fu ospite nella villa Gatti-Mosca, ma quella primavera non le regalò il tepore che aveva goduto anni prima a Como. Vento, freddo, pioggia la costrinsero a trascorrere parecchio tempo in casa. Non si lamentava del maltempo: amava il lago anche con le nubi grigie che facevano apparire la superficie una lastra d’ardesia e la pioggia fitta sfumava i contorni di case, piante, profilo dei monti, avvolgendo ogni cosa in un alone di magia. Mangiava in cucina, accanto al fuoco, con la famiglia del giardiniere e ne ascoltava con interesse le conversazioni, i problemi che si dovevano affrontare ogni giorno , sapendo che da quelle umili persone aveva da imparare ancora tante verità di vita. Decise di trascorrere nella piccola frazione parte dell’estate e tornò a Milano solo a luglio. Scriveva, ispirata da quell’atmosfera irreale, rivedendo luoghi, volti, figure, rivivendo emozioni che venivano universalizzate nella poesia. Portò così a termine il lavoro di revisione e correzione di un’altra opera di successo, “Finestre alte” e continuò a comporre liriche, nelle quali la forza e a passione ideologica dei versi giovanili lasciano il posto ad una poesia più “matura”, intimista. Davanti alla quiete del lago e alla maestosità dei monti, completò la revisione de “I Canti dell’Isola”, composti durante un soggiorno a Capri. Ed ecco il ricordo di una di quelle magiche notti di plenilunio, che la poetessa ha fissato in maniera “impressionista” nei suoi versi:
Luna sul lago:Sorge la luna tonda dal monte,/un’altra luna/entro l’immote acque del lago/appare/io mi domando qual sia la vera/cielo ed acque/formano un’aperta conchiglia/rosa azzurra/che due perle gemelle/offre ai miei occhi innamorati.
Laura Garavaglia