“Ghé semper lì un omm in piazza cui cavei lungh, cun su un paltò: chissà chi lè…”. Così commentavano gli abitanti di Carate Urio l’insolita presenza nel piccolo paese del lago del poeta Alfonso Gatto, uno dei maggiori esponenti dell’ermetismo. Tratto da L’ORDINE del 08/07/2009
Con la sua aria da “grosso orso bonario (…) che a un tratto ha le sue furie”, come lo descrisse Enrico La Stella, era un uomo schivo,introverso. Si era trasferito sul lago di Como nell’agosto del 1949 con la compagna, la pittrice triestina Graziana Pentich. Si erano conosciuti a Milano. Lui, dopo un inquieto girovagare per l’Italia facendo vari mestieri, lavorava come collaboratore presso quotidiani. La Pentich si era recata nel capoluogo lombardo per dedicarsi al giornalismo. E fra i due , uniti da affinità elettive (Gatto amava anche dipingere ), era nata una intensa passione. L’artista triestina, dal carattere aperto e cordiale che bilanciava la scontrosità del poeta, fu il grande amore della sua vita. Per lei aveva lasciato la moglie, Agnese Jole Turco, dalla quale aveva auto due figlie, Marina e Paola. A Carate Urio la Pentich e Gatto alloggiavano in località l’Orio, presso amici che gestivano una sala da ballo ed avevano alcune camere adibite ad albergo. Lei portava già in grembo il frutto del loro amore, Leone, che nacque il 10 ottobre dello stesso anno, proprio in quella spartana camera d’albergo dove alloggiavano, dall’arredamento essenziale, assistita dalla levatrice del paese. Il bambino , a cui il poeta era particolarmente affezionato, prese il cognome della madre, ma non venne registrato all’anagrafe del comune, in quanto la coppia non aveva preso la residenza nella piccola località sul lago. Nel libro di poesie “La forza degli occhi” edita da Mondatori nel ’54, Gatto esprime, sulla prima pagina, tutta la sua amarezza perché la legge al bambino “tolse subito il nome che l’amore gli aveva dato e gli dà” , ma che tuttavia “gli resterà sul frontespizio di questa raccolta, più valida – spero – di un certificato d’anagrafe”. La salute del neonato, ironia della sorte, non prestava fede al suo nome. “Era molto gracile, malnutrito, dato che il cibo, nel periodo postbellico, scarseggiava un po’ per tutti” ricorda Ettore Antonelli, per più di cinquant’anni medico condotto a Carate Urio. Il dottore, allora giovane ed alle prime esperienze di lavoro, dovette intervenire più volte per curare il piccolo, affetto da bronchiti e febbri ricorrenti. Mamma Graziana accoglieva il medico con grande gentilezza e cordialità. Gli mostrava i suoi quadri, che lui commentava dicendo “che avevano sicuramente molto da spartire con l’ermetismo di Gatto”. Papà Alfonso, seduto dietro una scrivania e intento a scrivere, lo salutava con un cenno del capo. Alla fine delle cure il poeta chiese al medico di presentargli il suo onorario. Quando Antonelli gli rispose che non voleva denaro, ma avrebbe gradito un suo libro di poesie, Gatto, quella volta, si alzòdalla scrivania, prese un volume da una piccola libreria allestita nella stanza e, senza dire nulla, ma con gli occhi che brillavano di riconoscenza, vi scrisse una dedica e lo consegnòal giovane medico. Che conserva gelosamente e con evidente orgoglio quel libro, dalle pagine ormai ingiallite ma sulla prima delle quali, in bella grafia, appare un frase di riconoscimento più preziosa di qualsiasi somma di denaro, perchè vergata dal pugno di un grande poeta. La vita dei due artisti era simile a quella dei bohémiens. La guerra era finita da qualche anno, soldi ne circolavano pochi, in particolare per chi, come i due amanti, dedicava la propria vita alle Muse. Anche loro erano poveri, come la maggior parte degli umili e riservati abitanti del paese; tra quella coppia originale, fuori dagli schemi e questi ultimi si era stabilito un rapporto di reciproco rispetto: Graziana e Alfonso, col piccolo Leone,vivevano tranquillamente la propria esistenza, anche se non priva di stenti, e la gente del posto non si curava più di tanto di loro e della loro unione irregolare, che a quel tempo poteva suscitare scandalo, affaccendata nei problemi di una difficile quotidianità. Il poeta preferì che la compagna e il bambino si fermassero a vivere sul lago, dove l’aria era pura e tersa rispetto a quella cittadina e avrebbe giovato alla salute del piccolo. Così rimasero a Carate Urio per più di un anno, durante il quale Gatto fece il pendolare tra la pittoresca località lacustre e Milano, dove , a malincuore ma per ragioni di lavoro, la famiglia si trasferì, in via Corridoni 39, nel 1950. Il lago rimase tuttavia sempre nel cuore dei due artisti, tanto che Graziana continuòa scrivere al medico di Carate per informarlo della salute di Leone e per avere notizie, che poi riferiva ad Alfonso, di quel piccolo, ridente paese dove avevano trascorso probabilmente i mesi più sereni della loro vita. Il paesaggio lariano era ormai entrato nel cuore del poeta salernitano. Nella sua pacata bellezza aveva trovato pace e serenità per il suo animo a volte inquieto. In molti suoi versi il nostro lago viene rievocato con toni di velata nostalgia e con quella dimensione dell’ oltre così presente nelle sue poesie, unita ad un intenso amore per la vita . Nella lirica “Ricordo del lago”, tratta dalla raccolta “Poesie d’amore”, la descrizione del luogo si fa infatti ad ogni verso più irreale, ricorre alla metafora, così cara agli ermetici, fino a farsi simbolo di vita ultraterrena : “Quell’odore bruciato che la sera/dalle montagne porta in riva ai laghi,/ il colore di bosco spoglio dove/sembra sfaldarsi l’ultima campana,/la luna già dall’alto sulle nevi / candida e veleggiante nella notte:/ancora in sogno, come l’aria muove/sul volto l’ombra , tornando sparendo./ Un’alba azzurra fuma da quel nulla / che scioglie i suoi battelli neri e il bianco /lago dei morti fissa nell’eterno”.