Una bella recensione di Gilberto Isella sul mio libro, La simmetria del gheriglio
Appunti su “La simmetria del
gheriglio” di Laura Garavaglia
La
simmetria del gheriglio. Una raccolta riuscita sul piano formale-stilistico,
avvincente alla lettura e aggiornata dal punto di vista epistemologico.
Voglio dire che, fin dal titolo assai
pertinente, in questo libro (come già in parte in Farfalle e pietre, 2010, ma con maggior decisione e ‘supporto
tecnico’) la poesia incontra l’episteme,
la scienza. Una scienza attualissima,
post-newtoniana, che conserva nondimeno un sapore d’antico, riportandoci alla
classicità, alla fase aurorale del sapere sull’atomo. L’autrice, insomma, non si accontenta di esprimere stati d’animo,
sentimenti e riflessioni sull’esistenza – che sono pur sempre le condizioni
indispensabili per far poesia – ma introduce
alcuni elementi desunti dalle scienze più aggiornate (dalla biologia
all’astrofisica) che permettono all’immaginazione di fare i conti con le grandi
e ineludibili leggi della natura. Un arricchimento non di tipo meramente
quantitativo e ‘appagante’, perché qui
il valore aggiunto del riflettere porta a formulare dubbi, a suscitare domande,
ad affrontare situazioni di disincanto. è come se Laura ci dicesse: Ciascuno di
noi ha un mondo proprio di affetti e di drammi, ma questa sfera individuale
dell’esperienza, da cui occorre per forza di cose partire, trova
giustificazioni e un senso compiuto solo
se vien sottoposto alla riflessione sul destino cosmico che ci coinvolge tutti.
Destino sotteso a un enigma, perché l’apertura sulla Totalità grazie a cui si
dà l’avvistamento dell’Essere (il Sein oltre
il Da-sein, per dire con
Heidegger) nessuno oserebbe definirla olimpica e risolutoria. Le
domande sui fondamenti (sull’”infinita vanità del tutto”) rimangono in sospeso, un inedito sentimento d’angoscia (l’Angst
heideggeriana) le pervade. Ma per
evitare di soccombere a stati d’ansia che potrebbero rivelarsi devastanti (in
realtà tenuti giudiziosamente a freno nei versi di Laura Garavaglia) occorre
confidare nella scienza. Meglio accettare, con lucida consapevolezza
intellettuale, la nostra condizione di
atomi o molecole gettati nell’avventura cosmica, che affidarci
all’illusorietà della fede o del sogno.
Amo la scienza che non lascia
spazio all’inganno del tempo
della fede e del sogno.
(p.66)
Dobbiamo
sempre guardarci dall’inganno, dalle apparenze sotto cui si cela la
verità. L’aveva già capito il grande
poeta latino Lucrezio, nel poema La
natura delle cose, lo capirà molti
secoli dopo Leopardi e direi tutti i poeti che non si sono voluti limitare ad
amministrare la piccola sfera dell’io. La parola della scienza è dunque
interpellata. Il rischio, a questo punto,
è quello di complicare all’eccesso il
discorso poetico. Ma è un rischio che Laura evita con grande perizia, grazie
alla sua sensibilità e alla sua capacità di scrittura. Una sensibilità che ci
fa avvertire la vicinanza del corpo, il respiro delle cose. Una scrittura – lo capiremo meglio ascoltando qualche poesia
dalla viva voce di Laura – in grado di trovare le parole giuste, le sole necessarie,
e sistemarle con perizia nel verso, creando ritmi inconfondibili. La bellezza
dunque vince, vince la poesia.
Ma ora cerchiamo di approfondire le cose. E
per far questo è giusto partire dall’accattivante e insolito titolo: La
simmetria del gheriglio. Perché il familiare gheriglio della noce diventa
l’emblema della raccolta? Ma perché, se fate attenzione, la forma del gheriglio
regge su un principio di simmetria: due cotiledoni carnosi e speculari l’un
l’altro, ognuno dei quali ha due lobi. E la forma del frutto fa pensare al
cervello, dunque alla mens, alla
ragione matematica e geometrica. A quei criteri di razionalità qui chiamati in causa
e con i quali si incontra e/o si scontra il disordine dell’esistenza. Chi avrà
la meglio? Il disordinato magma vitale o il principio ordinatore? è la fondamentale questione attorno a cui
convergono i due assi portanti dell’opera di Laura: quello del vissuto e delle
emozioni e quello della razionalità
dell’universo. La vasca di ogni
giorno” è altrettanto invocata quanto la “vasca del pensiero” dove entra il
corpo “teso alla zero assoluto”. La poesia, certamente, puòsolo a richiamare alla coscienza problemi
così complessi, farli vivere attraverso la testimonianza dell’io. Il compito
del messaggio poetico non è infatti quello di dimostrare, ma semplicemente di mostrare,
portare alla luce, rendere evidente.
Importante, a questo punto, è capire qual è
l’ossatura del libro, la logica dei suoi percorsi interni. E allora notiamo
che, nella distribuzione del materiale tematico, il tema esistenziale e dell’esperienza tende a prevalere nelle
prime sezioni, in particolare in La vita
e il sogno, mentre la grande
riflessione cosmica trova maggior spazio nella parte finale, dove
l’inserimento di una terminologia scientifica, rilevabile del resto fin
dall’inizio, è più marcata. Il libro parte dall’invito ad accettare pienamente
l’esperienza quotidiana, “entrare nella vasca di ogni giorno”, un’esperienza
che puòessere anche deludente, ingrigita dall’abitudine, come quando al
supermercato si toccano i prodotti da comperare. Ma per far questo occorre tradurre le grandi
e illusorie astrazioni, come “vita”, in termini che ci riportano all’esistenza
concreta, direi ai suoi costituenti immediati e materiali. A tale dimensione primaria,
direi biologica, non sfugge nemmeno il tempo, che “si scioglie in gocce dense” fino a svanire,
lasciando solo qualche traccia. è un motivo conduttore che scorre in tutto il
libro. Ad esempio nella delicata lirica della “bambina irlandese” che gioca
ignara e non si avvede del passaggio del Cavaliere nero della morte. La vita è
una “vacanza breve”, come suggerisce il titolo di una sezione. Ma il cosmo
stesso è uno sgocciolio irreversibile del tempo: “Le stelle sono cadute nel
bicchiere”, luce che cola e si dissolve.
Un vero assillo del tempo, che è per prima
cosa timore dell’annullamento, consapevolezza che tutto nella vita, come dice
il Petrarca citato, è breve sogno, o ”infinita vanità del tutto” secondo un
asse di pensiero che va dall’Ecclesiaste a Leopardi e oltre. Ma bisogna anche rendersi conto dell’estrema
complessità delle cose umane, e tornare al quesito cui mi riferivo prima: il
conflitto tra il magma delle vicissitudini, le anomalie dell’esistere, da una
parte, e l’ideale di un pensiero ordinatore e coerente, dall’altro. Mi sembra
che la poesia più adatta per illustrare questa dicotomia sia Alan Turing, dedicata al genio che
scoprì le basi matematiche del pensiero artificiale (dunque del computer) ma
che morì suicida dopo la persecuzione da lui subita in Inghilterra a causa della
sua omosessualità. Con particolare attenzione la precarietà delle leggi di
ordine e simmetria viene evocata nella
poesia Mi dici “Non c’è mai pace in
questi posto”. E questa impossibile tensione verso l’assoluto si ripropone
in un componimento dove “l’angoscia attende la potenza del continuo”.
Rimane il fatto che, anche a considerarci in
modo disincantato come una sommatoria di elettroni, scendendo fino ai nostri
processi fisico-chimici elementari, scopriamo solo “imperscrutabili necessità”.
L’abbattimento di quelle frontiere metafisiche che ci rendevano ostaggi
dell’illusorio non risolve ogni quesito: qualcosa di oscuro e inanalizzabile permane
nel sistema dell’Essere e dell’Esistere. La totalità sconfinata balena davanti
a noi solo in casi eccezionali, come
nell’esperimento ottico di Ganzfield. Il desiderio di affidare la vita al “linguaggio dei numeri”
non puòeludere il grande paradosso: che
la matrice stessa del pensiero e del linguaggio – il cervello – è materia
organica a sua volta destinata a perire. C’è poi un’ulteriore cifra destinale,
il telos ineludibile che la scienza dei numeri e il grande pensiero
filosofico dell’Occidente ci hanno rivelato con mezzi diversi, e che Laura
ripropone in termini netti, non equivoci: ossia che tutto volge allo zero. è l’aspra
verità che solo la grande poesia sa declinare. Gilberto Isella