Più di 300 morti, circa 1600 feriti, migliaia di persone rimaste senza tetto. Questo il tragico bilancio del terremoto che ha colpito l’Aquila la notte dello scorso 6 aprile con scosse molto violente, oltre 6 gradi di magnitudo. Le immagini che abbiamo visto alla televisione e su internet ci hanno mostrato una città ridotta ad un ammasso di macerie, come se decine di bombe si fossero abbattute sulle case, sugli edifici pubblici, nelle strade, sulle auto sgretolando, dilaniando , polverizzando e uccidendo. Tratto da L’ORDINE del 24/06/2009
Le cronache dei giorni immediatamente successivi alla catastrofe, sembravano bollettini di guerra, riportavano in continuazione dati sui morti e dispersi, sui feriti che continuavano ad aumentare. Aggiungevano al dolore sordo di coloro che tutto hanno perso, anche la vita dei loro cari, la nostra rabbia impotente, il nostro chiederci “perchè” e “come” sia possibile essere tal punto succubi della ferocia ineluttabile della natura distruttrice, ieri come oggi, in Indonesia come in Cina, in Iran come in Italia. E’ doveroso indagare se ci sia stata responsabilità da parte di chi ha progettato e costruito gli edifici, inevitabile chiedersi se le scosse più lievi che da tempo si avvertivano siano state sottovalutate da parte di chi avrebbe dovuto allertare la popolazione. Gli interventi del Governo sono stati tempestivi, si è provveduto da subito all’alloggio, al vitto, all’assistenza sanitaria e psicologica di una comunità di oltre 65.000 persone rimaste senza tetto. Protezione Civile, Vigili del Fuoco, Carabinieri sono stati attivati per assistere la popolazione, puntellare gli edifici pericolanti, evitare le ignobili, azioni di sciacallaggio che purtroppo in queste occasioni si verificano. La catena di solidarietà è scattata da subito tra la popolazione: centinaia di volontari si sono recati sul posto per aiutare persone che da quella maledetta notte di aprile vivono in un incubo che purtroppo è ancora realtà. Ma al di là dell’impegno da parte del Governo, dell’indispensabile aiuto dei volontari, di tutte le giustificate polemiche , accuse, indagini, resta questo senso di umana impotenza di fronte alla forza degli eventi naturali, di una lotta impari contro un mondo da sempre sfidato e mai vinto. Il sole splendeva il giorno dopo la catastrofe. La primavera “esultava” in tutto il suo rigoglio di verde e di luce. Il contrasto tra la disperazione della gente, gli oggetti che scandiscono la vita di ogni giorno, testimonianze dello scorrere della vita stessa, sepolti da cumuli di calcinacci , tonnellate di pietre e mattoni sbrecciati è apparso evidente sin dalle prime , drammatiche riprese che tutti abbiamo visto, rabbrividendo, dagli schermi delle nostre televisioni . “Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? (…) Quando io vi offendo in qualunque modo e con qualsiasi mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come , ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so. (…) E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei”. Il passo di Leopardi, tratto dal Dialogo della Natura e di un Islandese, è di una chiarezza agghiacciante. Il senso di inquietudine , di rassegnata impotenza che da sempre l’uomo avverte nei confronti delle forze naturali, il rapporto uomo- natura, analizzato, indagato, cantato da filosofi, scrittori e poeti da secoli fa parte della nostra esistenza. E non saranno “le magnifiche sorti e progressive” a cancellarlo.