27 aprile 1947. La guerra è terminata da troppo poco tempo perché le sue atrocità possano fare già parte dei libri di storia. Le ferite che ha lasciato nel nostro paese sono ancora evidenti e strazianti, come insanabili e profonde sono quelle nel cuore della gente. Tratto da L’ORDINE del 07/01/2010
Povertà, fame sono compagni di ogni giorno. Anche dalle nostre parti. Anche nei piccoli paesi del lago, risparmiati, sì, dai bombardamenti, ma non certo dalla paura, dal freddo che intirizzisce le membra e l’anima, dai momenti bui , durante i quali sembra che anche la speranza e la sopportazione abbiano raggiunto un limite che non potranno varcare. Eppure, soprattutto tra i giovani, c’è ancora tanta voglia di vivere, andare avanti per costruire un nuovo avvenire, per loro ed i loro figli. A costo di sacrifici e rinunce, ma finalmente in un clima di pace. Ed ecco che la storia di un matrimonio tra una ragazza ed un ragazzo di allora, che hanno oggi raggiunto la veneranda età rispettivamente di 87 e 91 anni , quasi una trasposizione in chiave moderna del capolavoro del Manzoni, diventa simbolo di questa volontà di non cedere, metafora di una fede grande, profonda nella Provvidenza e nelle loro straordinarie capacità di far fronte alle avversità della vita. Siamo a Lezzeno, uno dei tanti paesi , belli, di una bellezza antica, che costellano la sponda orientale del Lario. Margherita si sta preparando: oggi è un giorno importante, un giorno di grande festa per lei, per i suoi familiari e per la gente del luogo. Oggi si celebra infatti il matrimonio tra lei e Luciano. L’ha aspettato per tanti anni. Partito per il servizio militare nel ’38, si ritrova sotto le armi allo scoppio della guerra. Prima ha combattuto sul confine francese, poi in Corsica; alla fine , nel settembre del ’43, viene fatto prigioniero dagli alleati e inquadrato in una compagnia di soldati italiani aggregati nell’Ottava Armata inglese a sminare luoghi strategici lungo la Linea Gotica. “Nelle rare lettere che mi inviava” ricorda Margherita “non mi accennava alle missioni pericolose che gli venivano affidate. Non voleva che mi preoccupassi. Ma se è ancora qui, con me, è stato grazie a Dio che durante quelle missioni pericolose lo ha protetto e ha voluto che tornasse da me”. Sentimenti espressi con riservatezza e pudore, valori così rari al giorno d’oggi. Così lei attende il ritorno di lui aiutando la famiglia; un’ economia di sussistenza tipica di un mondo contadino di cui abbiamo testimonianza dal vivo solo dai racconti dei nostri vecchi: il pane fatto in casa, con la farina , allora un bene prezioso, prodotta con il poco frumento coltivato nel podere del padre, la cura dell’orto, la mungitura delle mucche, il tempo dedicato al ricamo, per preparare il suo corredo di sposa, lenzuola , tovaglie, sottovesti e camicie da notte per essere sempre desiderabile dal suo futuro sposo e rendere più bella la sua casa. Poi finalmente il ritorno, nell’ottobre del ‘45, e due anni dopo, il coronamento di un sogno d’amore che continua ancora oggi. In quegli anni i soldi erano davvero pochi. Il parroco celebrava più matrimoni nello stesso giorno. Era usanza che la sposa venisse accompagnata in Chiesa dal padre o da un fratello, percorrendo il paese in un corteo composto dai suoi parenti e da quelli dello sposo, che camminava dietro di lei. “Io volevo che fosse mio fratello a condividere con me questa gioia, ma quel giorno stava molto male. Si era ammalato di tisi durante la guerra e quella malattia lo consumava lentamente”. Gli occhi azzurri, ancora brillanti di vivacità, si inumidiscono al ricordo. “ Mia zia mi diede un paio di guanti bianchi e un mazzolino di fiori e raggiunsi il corteo che procedeva verso a chiesa”.Non aveva un abito bianco , Margherita. I soldi erano pochi e quindi i vestiti che indossava quel giorno erano un sobrio tallieur ed un soprabito, che avrebbe poi indossato in altre occasioni di festa. “Non potevamo permetterci un matrimonio sfarzoso. Del resto , in quel periodo, forse nessuno a Lezzeno avrebbe potuto permetterselo” interviene Luciano “Ricordo invece che, negli anni ‘30, quand’ero ragazzo, chi godeva di una certa agiatezza ingaggiava la banda musicale e con parenti ed amici, dopo la celebrazione, faceva il giro delle osterie del paese”. Dopo una cerimonia sobria ma sentita da tutti i presenti, finalmente Margherita e Luciano sono sposi: la fede d’oro, un sacrificio l’acquisto da parte delle famiglie, brilla all’anulare dei due giovani. Possono partire, con un’altra coppia di amici, anch’essi novelli sposi, per il viaggio di nozze. Un viaggio breve, per la verità, ma le disponibilità di tempo e denaro non permettevano altro: in corriera fino a Lecco, passando da Bellagio; poi a Como e quindi rientro in battello a Lezzeno. Tutto in un giorno. A Lecco le due coppie girano per la cittadina, senza una meta precisa. Poi si fermano in una trattoria a pranzare. “Abbiamo mangiato malissimo!” esclama Luciano. “ricordo ancora una polenta stopposa ed una carne spacciata per coniglio che, come a volte capitava allora, per me era altro. Forse un gatto”. Quindi il trasferimento a Como, dove gli sposi fanno compere: un cappello per Luciano, aghi e fili colorati per Margherita, preoccupata perché non si è ricordata di metterli nel corredo, e poi una passeggiata sul lungolago, mano nella mano, felici di sentire il tepore del sole nella primavera della loro vita insieme. Poi il ritorno a Lezzeno in battello, il mitico “Patria”, oltre due ore di navigazione perché doveva spostarsi da una sponda all’altra del lago, toccando tutti i paesi . E il piacere di vedere e commentare scorci e paesaggi inondati di luce , l’elegante pontile di Cernobbio , la Chiesa romanica di Careno, i monti che coronano il Lario, ammantati di boschi dalle mille sfumature di verde, il fragore delle acque dell’orrido di Nesso. “Avevamo già visto quei luoghi più volte. Ma quel giorno ci sembrava tutto nuovo, tutto più bello. Eravamo così felici, pur avendo così poco!” esclama Margherita. Ecco, il battello arriva a Lezzeno. Li aspettano i parenti , per festeggiare tutti insieme le nozze. “Siamo andati tutti al Ristorante Martinelli, che oggi non esiste più. La coppia di amici che si era sposata con noi aveva portato il riso e noi la carne di maiale, che mio padre aveva ucciso per l’occasione. Allora il cibo era scarso, come tutti i generi di prima necessità. Il ristoratore poteva garantirci solo la preparazione delle pietanze e la tavola apparecchiata” continua Margherita. Ma è festa grande comunque: si siede a tavola per ore fino a tarda sera , per il piacere di stare insieme ai propri cari, progettando già l’immediato futuro, perché i tempi non consentivano voli pindarici. Poi l’ingresso nella loro nuova casa due camere e la cucina, in affitto, nella frazione di Ponisio, case di pietra che si affacciano su viottoli di acciottolato , il muschio e l’erba che crescono tra le crepe dei muri , il profumo della legna che brucia nei camini. “Solo dopo alcuni anni abbiamo potuto comprare una casa tutta nostra, che in seguito ho ampliato, costruendola con le mie stesse mani” afferma orgoglioso Luciano. Il racconto di un viaggio di nozze di più di sessant’anni fa ci regala un frammento di storia locale, un piccolo esempio, che si fa mito, di un mondo che non esiste più, se non nel ricordo, così prezioso, dei nostri anziani.