Qualche giorno fa mi sono accorta che in camera di mia figlia , all’una e trenta, la luce era ancora accesa. “Che stia male?” ho pensato. Da mamma ansiosa qual sono ho spalancato la porta: stava tranquillamente chattando sul suo computer. Mi sono, naturalmente, “alterata” , per usare un eufemismo, dicendole che il nottambulismo informatico non giova né al cervello né alla salute. Tratto da L’ORDINE del 23/01/2010
Con gli occhi azzurri pieni di stupore misto a rabbia, mi ha risposto che, come ogni sera (o meglio notte) stava contattando tutti, dico tutti gli amici, per il rito della buonanotte. E questo, dopo essere rimasta al computer non solo per studiare – i professori pare che inviino slide e dispense degli esami anche via “e mail” – che mi sta bene, ma avere trascorso con gli occhi incollati allo schermo anche le pause, i momenti di relax, tra Facebook, Messenger ed altre amenità del genere. E’ vero, io forse appartengo ad una generazione che ha dovuto “subire” la rivoluzione tecnologica che ha sconvolto il nostro modo di vivere. E’ forse anche vero, come spesso mi ripete l’altro mio figlio, che il computer non fa per me, anche solo quando scrivo spesso combino pasticci e quindi dovrei tornare alla vecchia cara macchina da scrivere, una “Olivetti lettera 35”. Da anni l’ho riposta sopra uno scaffale,come un cimelio, perché le sono affezionata e non voglio buttarla via. Mi capita – quando cerco di penetrare la foresta di programmi installati sul mio PC premendo tasti e “cliccando” sul mouse – di bloccare tutto e di dover chiamare in aiuto l’uno o l’altra dei miei figli che mi hanno ormai affibbiato l’epiteto di “fenomeno di incapacità informatica”. Mi rendo conto dell’importanza che riveste il computer ,oggi, nella vita di tutti i giorni, perchè ha, come accennavo sopra, modificato il nostro modo di pensare, agire,vivere. Capisco che chi non lo sa usare sia considerato ormai un analfabeta, ma sono anche stufa di vedere i miei ragazzi incollati a quello schermo luminoso che ti apre sì, con un semplice tasto, l’accesso a miriadi di informazioni e ad ogni angolo del mondo, dandoti la possibilità di scegliere, selezionare, interagire; ma in modo esclusivamente virtuale, cancellando la “fisicità” della realtà il contatto con le persone e le cose, e in ultima analisi, l’esperienza del reale. “Chattare” (il neologismo è anche onomatopea che riduce il “parlare” a futile “chiacchierare” ) a ben vedere, riduce la capacità di socializzare, rende virtuali anche i sentimenti, come l’amicizia e l’amore. Io preferirei, se avessi ancora l’età di mia figlia, anche solo per mezz’ora, uscire con il mio ragazzo parlargli guardandolo negli occhi, abbracciarlo, baciarlo piuttosto che scambiare con lui messaggi che lasciano il tempo che trovano. Anzi, in caso di screzi e dissapori – frequenti tra innamorati – peggiorano la situazione, perché troncano la conversazione interrompendo la connessione via cavo e non danno la possibilità di spiegare, mediare o meglio rimediare a parole che possono avere ferito l’altra persona. Per non parlare di “eBay”. Ho scoperto che questo tempio virtuale dello shopping attira molto sia gli adulti informatizzati che i giovani. Così, ogni tanto, anche mia figlia, che come ogni rappresentante del genere femminile è molto gratificata dagli acquisti personali e da quelli che puòfare per gli altri, mi informa che, per esempio, l’ultimo modello dell’hi phone che vorrebbe o della macchina fotografica che piace molto a me e a suo padre l’ha trovato superscontato on line: unica condizione è quella di avere accesso alle nostre carte di credito, cosa che vieto tassativamente onde evitarle sindromi da shopping compulsivo.Anche i videogiochi fanno la loro parte, a mio avviso, nel creare indigestioni informatiche. Sono gettonati soprattutto da mio figlio; dice che lo rilassano, tra un teorema di matematica e l’altro. Io ribatto che forse sarebbe meglio uscire , anche solo per un’ora, per trovarsi con gli amici, o andare in palestra…e invece preferisce giocare con degli sconosciuti, con cui comunica, munito di cuffie e microfono, attraverso il suo PC.Un altro problema non certo secondario è quello che riguarda il tempo per stare insieme , per poter parlare con i miei ragazzi, che è sempre così poco! Tra impegni di lavoro e di studio si riduce alla sera, ma ecco che il malefico strumento informatico cattura ogni loro attenzione: all’ora di cena, mi capita di chiamarli cento volte prima che si stacchino da quella che ormai sembra essere diventata una loro appendice, mentre nei piatti si raffredda ciòche ho preparato e mi verrebbe voglia di buttare tutto in pattumiera lasciandoli a digiuno; E dopo cena, quasi come da ricetta prescritta dal medico, ancora una bella dose di virtualità. Meno male che almeno mi aiutano a sparecchiare la tavola! Così, io che vorrei farmi raccontare da loro cosa hanno fatto durante la giornata, chi hanno visto, se gli è piaciuto il libro che hanno appena letto (per fortuna il tempo per leggere lo trovano comunque), quale è la trama dell’ultimo film che hanno visto, ogni sera, sconsolata, penso “ci riproveròdomani”. Per fortuna riesco a parlare con mio marito, come me piuttosto idiosincratico a tutto ciòche si definisce tecnologicamente avanzato. Anche lui sente la mia stessa necessità di condividere le piccole, quotidiane esperienze personali sulle quali si costruisce poi un solido legame di affetti familiari. Così mi preoccupo, temo che i miei figli possano cadere in preda a quello che viene definito da ricerche compiute negli Stati Uniti Internet Addiction Disorder (disturbo da dipendenza da internet), e ho la triste sensazione che davvero l’informatica ci plasmi a tal punto da trasformarci in “esseri digitali” , parafrasando un celebre e profetico saggio del guru americano dei media Nicholas Negroponte. E allora vorrei, in preda ad una sorta di “raptus tecnofobico”, tagliare i mille cavi che alimentano in casa nostra i computer, anzi , manometterli proprio e provare a tornare all’ormai preistorica età preinformatica…Poi mi rendo conto che sto esagerando: in fondo, mentre scrivo anch’io sono qui, incollata davanti allo schermo, con le dita che scorrono sulla tastiera e cliccano sul mouse..no, non potrei farne più a meno. La vecchia, cara Olivetti, è meglio che rimanga sullo scaffale a impolverarsi.