Ventitrè storie di drammatiche esperienze vissute sulla propria pelle e incise come marchio a fuoco nella mente e nel cuore. Ventitrè frammenti di vite che, ricomposti e narrati, ritraggono uno spaccato di quella tragica realtà vissuta in prima persona da tanti italiani, tra i quali molti comaschi, che hanno combattuto nel Corpo degli Alpini nelle campagne di Albania e Russia o sono stai internati nei campi di lavoro tedeschi. Tratto da L’ORDINE del 19/03/2010
Testimonianze di coloro che nel gergo militare vengono, in segno di rispetto , chiamati “veci”, poco più che ragazzi durante la Seconda Guerra Mondiale. Contadini, pastori, artigiani; gente umile, schietta, diretta, che conosceva bene e per questo non temeva, la fatica del lavoro . Forse proprio per questo il dolore e la morte che inevitabilmente accompagnano il delirio di ogni guerra sono stati sconfitti da questi uomini grazie alla loro forza d’animo, al coraggio, al senso di solidarietà e fraternità, che li legava ai compagni di sventura, alla capacità di sopportare anche esperienze che a noi, oggi, che ci crogioliamo nel fittizio benessere della nostra epoca, soffocati da mille falsi bisogni, sembrano quasi assurde, irreali. Ventitrè racconti raccolti in un libro dal titolo “Comaschi in guerra. Racconti di alpini al fronte”, edito da Mursia, che l’Associazione Nazionale Alpini , sezione di Como, ha voluto pubblicare per celebrare il novantesimo della nascita, il 5 luglio 1920. Non è facile recensire un libro di questo genere senza cadere nella retorica. Ma davvero quei giovani soldati di allora mi sono sembrati eroi per antonomasia, protagonisti di quella che il Manzoni definì in modo illuminante “epopea degli umili”. La narrazione delle vicende è quasi una cronaca dal fronte o dai campi di prigionia. Lo stile è asciutto, scarno, privo di orpelli linguistici; le esperienza di guerra descritte si traducono in immagini che scorrono davanti agli occhi come sequenze di un film neorealista . Anche se di un film non si tratta, purtroppo, ma di una tragica realtà che appartiene al nostro passato. Fame, freddo, stanchezza mortale, sporcizia, pidocchi e scabbia che ti divorano la pelle, diarrea continua che ti tormenta le viscere e ti toglie le forze, scatenata dalle temperature polari e da ciòche veniva ingerito per calmare il perenne vuoto allo stomaco: rifiuti, neve, erba, perfino olio antigelo scambiato per vermouth, come si legge dalla testimonianza di Vittorio Cattaneo, classe 1915, chiamato dai suoi compagni il “nonno”, perché è considerato il simbolo dell’ANA sezione di Como e ne rappresenta tutti i reduci; i compagni che ti muoiono accanto dilaniati dalle bombe, falciati dalle raffiche di mitragliatrice o uccisi dal gelo; le sofferenze patite per le ferite subite dai protagonisti stessi di queste vicende che a noi paiono incredibili; i maltrattamenti e le atrocità inflitte nei campi di prigionia . Ed ecco la storia di Giuseppe Belloni, di Fino Mornasco, classe 1919, del Battaglione Morbegno , Medaglia d’Argento al Valor Militare per le ferite riportate,che nel marzo del 1940, non ancora ventunenne, partì per la leva e dovette affrontare prima la campagna di Albania, “l’esperienza peggiore” perché – come narra l’alpino – “non c’era niente da mangiare”, dato che lui e i suoi compagni rimasero anche quindici giorni senza approvvigionamenti, al punto che furono costretti a nutrirsi di erba, “così. cruda, tanto per riempire in qualche modo lo stomaco”, mentre la pioggia e il freddo intorpidivano le membra e la mente. Poi la campagna di Russia, dove i soldati che cadevano a terra durante le estenuanti marce in uno sconfinato deserto di neve e gelo “in nemmeno dieci minuti diventavano blu ed erano già morti”. Ecco le esperienze vissute rispettivamente da Arturo e Bruno Bignucolo, di Inverigo, classe 1924, fratelli gemelli, 5° Alpini, Battaglione Tirano, fatti prigionieri dai tedeschi a Malles l’8 settembre del 1943 e trasferiti nel campo di Königsberg, Prussia Orientale. Arturo, rimasto poi solo dato che il fratello fu trasferito in un altro lager, narra le giornate estenuanti di quel periodo drammatico: sveglia alle sette del mattino e lavoro fino alle sette di sera, senza interruzioni; per cena “una brodaglia con un po’ di pane che dovevamo dividerci in venti uomini affamati”; e per calmare i morsi della fame, erano costretti a rovistare nei rifiuti per cibarsi di ciòche scartavano i soldati tedeschi. Il campo di lavoro che nel 1945, all’arrivo dei russi,diventa una prima linea a causa dei continui attacchi e contrattacchi da parte dei due eserciti avversari. E una vicenda straziante proprio durante quel periodo confuso, della quale l’alpino ha ancora vivo il ricordo: con altri prigionieri riuscì a penetrare nella zona del lager destinata agli ebrei. Entrati in una baracca, si presenta ai loro occhi una scena raccapricciante: quelli che un tempo erano uomini, ridotti a larve umane, si cibavano dei cadaveri dei compagni morti, non avendo nulla di cui sfamarsi. Bruno, vittima di maltrattamenti da parte di crudeli giovani hitleriani, che lo colpirono col calcio del fucile alla schiena, tanto da provocargli un trauma così forte da minare la sua salute per tutta la vita, tormentato dalla tisi. E poi ci sono i sentimenti degli uomini: solidarietà, amicizia , senso di fratellanza che va oltre le differenze di nazionalità, grado, sesso, età e che vede le contadine russe aiutare i soldati italiani, come la “babucka”, la vecchina grinzosa che ospita nella sua isba riscaldata, Domenico Ortelli di Grandola ed Uniti classe 1913, giunto dopo estenuanti marce al villaggio di Rubascowska. Gli offre dell’acqua calda per lavarsi, una tisana per ristorarsi e un letto caldo in cui dormire. O la casupola del contadino in cui sosta a riscaldarsi attorno al fuoco con i suoi compagni Zola Genazzini, di Argegno, classe 1915, durante una faticosa marcia sui monti dell’Albania. E anche gli animali, unici e veri amici dell’uomo soprattutto in tempo di guerra, sono descritti come capaci di vivere sentimenti simili a quelli umani. Infatti Genazzini narra la storia di un amore del tutto particolare tra due muli , Ritorno e Ombra. I muli sono sempre stati per gli alpini preziosi e inseparabili compagni per il trasporto dell’artiglieria e delle vettovaglie, tanto che la perdita accidentale di uno di questi animali poteva costare la carriera ad un ufficiale di comando del battaglione. L’alpino narra che Ritorno rischiòdi ammazzarsi precipitando in un dirupo. La mula Ombra, come vide la scena, svenne, proprio come un’innamorata che vede il suo amato in pericolo. Episodi di atrocità viste, sofferenze inaudite vissute si intrecciano a sentimenti, riflessioni, ricordi velati di tristezza per la perdita dei compagni morti durante la guerra, nostalgia accettata con rassegnazione per gli affetti lontani. Un libro che parla di eroi della storia, quella vera, non fatta solo dalle date, dalle battaglie, dalle tregue, dai nomi di capi di stato e dei generali. Ma dalla gente comune, dai Bignucolo, Genazzini, Ortelli e tanti altri che hanno vissuto la tragedia della seconda Guerra Mondiale sulla loro pelle, senza falsa retorica, lontani da ogni tronfia propaganda. Una storia che dovrebbe essere studiata e meditata dai nostri studenti, perché questi alpini, allora, erano ragazzi come loro. Ma , a differenza dei nostri giovani, hanno dovuto diventare adulti troppo in fretta.