kalòs kai agathòs: il principio secondo cui, nella cultura greca , etica ed estetica erano inscindibili è stato fatto proprio, ampliandone il significato all’arte della cucina, da Gualtiero Marchesi, non solo lo chef italiano più noto al mondo, ma uomo di grande cultura, che spazia dall’arte, alla musica, alla filosofia, alla letteratura. Tratto da L’ORDINE del 15/10/2010
Una cultura rielaborata in modo critico e personale, che permea la sua passione per la cucina “una vocazione cercata” seguendo la tradizione nel campo della ristorazione, dato che i genitori erano proprietari dell’Albergo Ristorante Al Mercato, in via Bazzecca a Milano. E da sempre la capacità di innovare, di spendere il proprio talento, la propria creatività al fine di realizzare piatti che sono delle vere opere d’arte e che propone ai suoi clienti all’Albereta Resort , a Erbusco, in Franciacorta, Eden dell’ enologia e della gastronomia e nel ristorante “Il Marchesino”, da due anni aperto in Piazza della Scala Milano.Per questo nella nostra città , l’Istituto Alberghiero Gianni Brera ha assegnato mercoledì 13 a questo straordinario artista della gastronomia il premio “Uno stile di vita, una vita per lo stile”, uno tra i mille riconoscimenti che ha ricevuto per il continuo impegno , per la costante ricerca in ambito culinario.“Il bello puro è il vero buono”, è la frase diventata per Marchesi una filosofia di vita, principio ispiratore della sua ininterrotta ricerca di qualità, stile, bellezza .“Sono kierkegaardiano, dunque per me l’estetica comprende l’etica. Se un piatto è esteticamente bello, significa che è anche buono” afferma.Bisogna essere capaci di leggere la qualità del piatto, che deve soddisfare il gusto attraverso lo sguardo che “si fa vista”. Capacità che rientra nell’idea di “cucina totale”, termine coniato dal grande chef per definire tutto ciòche è compreso tra il momento della preparazione del piatto alla presentazione nel piatto. E cioè ricerca, semplicità ed essenzialità, eleganza, armonia di forma-materia , di aromi e sapori , ma anche ambiente, servizio, accoglienza.“Ricordo che tempo fa, durante una cena alla quale ero stato invitato per poi tenere una relazione, mi colpì un primo piatto che mi servirono. Era bello perché era anche squisito. Un’altra volta ,invece, in un ristorante piuttosto famoso un piatto che ad uno sguardo disattento poteva apparire gradevole, mostrava una totale disarmonia: i colori non erano quelli giusti, gli ingredienti cotti in maniera sbagliata”. Ha definito la sua cucina “cucina della verità ovvero della forma e quindi materia” che sono inscindibili. Ritiene che ogni genere d’arte debba unire sintesi e semplicità, che significano poi raffinatezza. “Mi sembra che la cucina molecolare, per esempio, si nasconda un po’ dietro delle cose misteriose”. E’ un genere di cucina che Marchesi non capisce perché dice “sono moderno per quanto mi concede la mia storia”.E aggiunge che un piatto è come uno spartito di musica, da leggersi nota dopo nota, ingrediente dopo ingrediente. Una composizione che si fa armonia. Un’architettura.Afferma che la cucina è anche una scienza, spiegazione dei fenomeni, di ciòche avviene. “Spesso gustiamo piatti che al momento ci sembrano buoni, e non sappiamo neppure che cosa abbiamo mangiato” dice sorridendo per sottolineare l’assurdità della cosa. I suoi piatti sono sempre pensati, egli è sempre “dentro di essi” come ogni artista all’interno della propria opera. “Precisione, umiltà e accuratezza sono il segreto di ogni successo artistico e culinario. L’arte e la cucina hanno in comune il rispetto per le stesse qualità e cioè l’abilità, la tenacia,l’originalità dell’ispirazione, la fedeltà alla tradizione” sottolinea nel libro Il bello e il buono, non a caso scritto insieme agli artisti Aldo Spoldi e Nicola Salvatore. Anche i giovani che si accostano al poliedrico mondo della cucina devono tenere ben presente che è necessario rifarsi alla tradizione, ma poi è anche indispensabile superarla senza dimenticarla, se si vuole fare e quindi dire qualcosa di nuovo, di originale.E proprio ai giovani presenti alla cerimonia di premiazione nell’aula magna dell’Istituto Alberghiero, che hanno scelto di seguire un percorso di studi e formazione nel settore della ristorazione, Marchesi si rivolge invitandoli a studiare, ad aprire la loro mente, ad esplorare in continuazione i campi del sapere. Perché se cuochi si diventa, “marchesi si nasce” ,aforisma che dà il titolo al libro dedicato alla sua recente autobiografia. Lo afferma giocando sul nobile significato del suo cognome e augura a tutti loro di diventare dei cuochi ed anche dei …marchesi. I suoi piatti, opere d’arte alle quali è stata dedicata quest’anno una mostra al Castello Sforzesco di Milano, sono pensati anche in funzione del “contenitore”, forma, che è una sola cosa con la materia, il cibo.Per la realizzazione delle sue ricette si è ispirato a grandi opere di famosi artisti delle arti figurative : Alberto Burri, Lucio Fontana, Enrico Baj, Piero Manzoni, Giancarlo Vitali, Salvatore Sava, solo per citarne alcuni.Ed ecco il celebre “riso e oro”, risotto allo zafferano, giallo, con una foglia d’oro quadrata su fondo nero, il piatto rotondo. Ricorda la vitalità della forma dei dipinti di Vasilij Kandinskij o le composizioni suprematiste di Kazimir Malevi?. Ecco il piatto di pesce non a caso denominato “dripping” dove lascia sgocciolare sul vassoio quadrato, come fosse una tela, gli ingredienti della ricetta , con la stessa tecnica di Jackson Pollock , sintetizzata da Rosenberg nella formula “action painting”. O il “cubo di finanziera” e “il rosso e il nero”, “l’uovo al Burri”, che ricordano le opere di Alberto Burri, artista che rappresenta la materia per ciòche essa è, “per le sue caratteristiche formali, cromatiche, emozionali”, come ha ben osservato la critica Loredana Parmesani ne L’Arte del secolo. E ancora le “acrome di branzino” dedicate a Piero Manzoni e “il risotto mantecato ai tartufi bianchi e neri” dedicato al famoso artista cinese Hsiao Chin.Ricette entrate a pieno diritto nella storia dell’arte culinaria,che soddisfa contemporaneamente tutti i nostri sensi, perché il cibo ci sostiene, ci dà piacere, ci “ricrea”.