Tra i poeti italiani della generazione di mezzo Claudio Recalcati, milanese, classe 1960, vincitore del premio Montale 2002, è sicuramente uno dei più originali e capaci. Il suo ultimo libro,dal titolo emblematico “Microfiabe”, pubblicato a giugno nella collana di poesia “Lo specchio” di Mondadori, è la storia di un’esistenza composta da frammenti che trasfigurano esperienze vissute nella dimensione onirica tipica della fiaba. Tratto da L’ORDINE del 24/10/2010.
Lacerti di pena, angoscia, rabbia, desolazione, sconforto che compongono la storia di una vita, specchio di quel senso di precarietà, quell’insinuante e sconosciuta inquietudine che accompagna l’esistenza di ciascuno di noi.Esperienze di dolore del corpo e dello spirito, vissute in prima persona o attraverso il male patito da chi gli sta accanto, tra letti d’ospedale, cannule come “cannucce da drink”, che iniettano “un martini consono alle sollecitudini del corpo”. Esperienze legate a viaggi reali in luoghi geograficamente delimitati come “la verde laguna bavarese” e le “fantastiche chiese luterane”; o viaggi immaginari, abbozzati in modo vago attraverso il ritmo sempre uguale delle vite di pescatori di corallo in lontane isole tropicali; o ancora intrisi dalla sorda malinconia che genera il ricordo , come nella bellissima poesia “Autoritratto”, dove il paesaggio del lago di Como appare oggi all’autore così diverso e lontano da quello impresso nella sua memoria di ragazzo : “sapessi, sono tornato e non è molto/ma molto è mutato/ il paesaggio” dove “le querce secolari” sono ormai “nient’altro che una geometria/di scarni pioppi” e “i riflessi (…)oggi sono chiazze”. In questi versi i luoghi sfumano nell’indeterminatezza tipica del fiabesco, dove il poeta trascina il lettore ed entrambi si trovano a peregrinare nelle dimensioni spaziale e temporale che si annullano nel surreale, lontane da quelle terrestri ed effimere; per poi tornare all’improvviso alla crudezza della realtà odierna.E poi momenti della quotidianità “all’alba i volti si narrano, i gesti scompongono/le imperfezioni, ci si scambia il dono dell’affetto/e il sorriso è un mercato di silenzi”. Frammenti della vita di ogni giorno descritti con l’animo sempre in equilibrio precario tra mai sopito bisogno d’amore e drammatica consapevolezza di una solitudine esistenziale incolmabile, di un male profondo che trascende ogni nostra possibilità di reagire: “Chi sveglia il padre? Chi gli svela/che questa notte ha urlato?”.Il male e il dolore che oscurano la bellezza interiore e esteriore dei nostri percorsi esistenziali, che frantumano e divorano le nostre vite, si riflettono nelle poesie dedicate a Dino Campana, una sorta di alter ego dell’autore, con il quale condivide l’urgenza del raccontare, la potenza dell’immagine e quella tensione inquieta, quel vagare della mente nella zona del confine sfumato tra realtà e sogno, spesso confusi con la normalità e la follia.Infine nelle poesie della sezione “L’ortolano di Balzac”, un sorta di “poemetto noir” per immagini che ha i contorni e le tinte fosche di un delitto di cronaca nera , Recalcati sembra voler esorcizzare il male trasferendolo nella dimensione onirica, imperscrutabile. Ma , anche se solo attraverso pennellate lievi, improvvisi bagliori, si legge nei versi dell’autore un profondo bisogno insoddisfatto d’affetto , una sete d’amore non spenta, che , pur nella desolata rassegnazione ad accettare l’angoscia e il dolore che accompagnano la nostra vita, lascia aperta una via di fuga verso la speranza: “Lascia che lentamente tutto torni/all’altezza dell’amore/e che l’amore lentamente torni/a lenire il male con dolcezza”.