Il paesaggio, metafora dell “dopo” assoluto che rigurda la nostra esistenza.
Domina il paesaggio, nei versi di Laura Garavaglia. E quei favolosi chiaroscuri che solo il mondo lacustre rende possibili. Eppure, è strano: la serenità dell’ambiente si rivela essere, alla fine, come uno sfondo infinito nel quale l’io (lirico, ma anche vivente) desidera scomparire, o annullarsi. Come se il lago e le sue sponde e i suoi colori sfumati appartenessero, in verità, al limbo che aspetta l’autrice in un “dopo” assoluto, in una sorta di vita posteriore. E allora viene il serio dubbio che quel paesaggio sia la porta, la primissima stazione d’un viaggio destinato ad arrivare lontano, lontanissimo. Perchè accade, a volte, che proprio quanto è abituale, quotidiano, familiare ci appare in una luce d’incertezza inquietante. Sta a chi scrive versi (o più semplicemente: a chi coltiva in proprio una sensibilità autentica e non omologata) coglierla, quell’incertezza. Come il vuoto che impregna le cose e, forse, tutta la nostra vita.
m.s.