Un appassionante romanzo che ricostruisce la vera storia, che si svolge tra le sponde del lago di Como e Milano, di un feroce serial-killer vissuto nella seconda metà dell’800.
Sarà un caso (e certamente lo è) : “L’indifferenza dell’assassino” (Guanda,2012), il nuovo romanzo di Maurizio Cucchi esce quasi contemporaneamente al saggio intitolato “La scienza del male. L’empatia e le origini della crudeltà” (Raffaello Cortina, 2012) dello psicologo britannico Simon Baron Coehn. L’incapacità di empatizzare, cioè non imparare a capire e condividere le emozioni degli altri, è un disturbo della personalità comune a diverse patologie, con differenti casi di gravità: dalla sindrome di Asperger all’autismo, a comportamenti che spingono a compiere crimini atroci. L’assenza, in alcune persone, del “legame emotivo” che ci mette in relazione con gli altri è dovuta sia a fattori sociali e ambientali, sia a fattori biologici. Insomma, una certa dose di responsabilità è da attribuire anche ai nostri geni.
Già il titolo del romanzo ci pone subito di fronte ad un personaggio totalmente incapace di “entrare nella mente” degli altri e quindi di provare gioia, compassione, pietà, dolore .
Antonio Boggia, il protagonista, è peraltro realmente vissuto ed ha un legame con il nostro territorio, perché era nato a Urio nel 1799, anche se le vicende della vita lo portarono poi a risiedere quasi stabilmente a Milano dove, sotto le sembianze di onesto portinaio e all’occasione muratore, nascondeva la sua reale identità di assassino. Fu l’ultimo condannato all’impiccagione a Milano, dopo pochi mesi che era stata proclamata l’Unità d’Italia. Il suo caso fece epoca, come scrive l’autore, anche perché proprio in quegli anni l’iniquità della pena di morte era ormai riconosciuta da più parti.
Il romanzo ci offre anche un appassionato e appassionante spaccato della Milano ottocentesca, rivissuta attraverso una documentata “storia degli umili”, con descrizioni di angoli della città anche poco conosciuti e che ancor oggi conservano un grande fascino, come via Nerino dove si apre la Stretta Bagnera, l’angusto vicolo dove “el Togn” , “el Boggia”, aveva il suo laboratorio, uno scantinato sinistro dove compiva i suoi efferati omicidi, il cui movente era prevalentemente di carattere economico, studiati con la freddezza e la lucidità di un vero professionista del crimine.
E’ noto del resto l’amore di Cucchi verso la città dove è nato e vive e che, flâneur del ventunesimo secolo, esplora dal centro alla periferia e viceversa. Ritroviamo spesso una Milano poco conosciuta o dimenticata in molte sue poesie e prose, come ad esempio il suo bel libro, intitolato appunto “La traversata di Milano”. E, oltre che al capoluogo lombardo, l’autore nel suo nuovo romanzo dedica varie pagine al lago di Como, ricche di acute osservazioni e descrizioni attente al dettaglio che rivelano non solo una sincera affezione al nostro territorio, ma anche la sensibilità che solo il poeta ha di cogliere certi particolari, certe sfumature della realtà. E i personaggi del romanzo, tutti realmente vissuti, vengono ritratti mettendo in luce, spesso anche con toni umoristici, i loro aspetti più “umanamente” caratteristici.
Cucchi, all’inizio del libro, spiega come la storia di Antonio Boggia lo abbia “perseguitato” a causa di tutta una serie di coincidenze, suggestioni a volte incomprensibili razionalmente e che spesso sono le fondamenta su cui costruire un’opera letteraria.
Perché in fondo la storia del Boggia è la storia del Male, che nelle sue mille forme e nelle sue mutevoli sembianze accompagna la storia dell’umanità, parte indissolubile della nostra natura, “incastonato nella struttura della nostra evoluzione”, come afferma lo psichiatra e neurobiologo Luca Pani.
Del resto la riflessione sul’idea del male è presente nell’opera di Maurizio Cucchi: ne è un esempio “Il male è nelle cose”, un altro avvincente romanzo dal titolo che riprende e modifica il senso di un verso di Giovanni Raboni .
Arte e letteratura hanno rappresentato questo concetto quasi ossessivamente nell’età moderna e Georges Bataille in un suo famoso saggio, “La letteratura e il male”, analizzando l’opera di alcuni tra i maggiori autori della letteratura di tutti i tempi, tra cui tra cui Baudelaire e Kafka, vede nel male l’atto liberatorio dello scrittore e del poeta dalle convenzioni e dai divieti imposti dalla società; la letteratura avrebbe quindi il compito di mettere in crisi l’ordine sociale, il bene, perché “l’uomo non puòamarsi fino in fondo se non si condanna”.
Nell’era della rivoluzione informatica il male, reale e virtuale, sembra affascinare e dominare l’uomo che ne è morbosamente attratto. E’ l’argomento principale dei media, giornali e programmi televisivi fanno della cronaca nera il loro cavallo di battaglia, il cinema lo tratta in tutte le salse, su internet si trovano video raccapriccianti, l’orrore attrae perché il male crea audience. Vedere il mostro sbattuto in prima pagina o sullo schermo è un modo in fondo per noi di “prendere le distanze” dal male, sentirci in pace con la nostra coscienza. Maurizio Cucchi riflette con lucidità ,
senza retorica sull’ineffabile idea del male, di cui “abbiamo quotidiane prove di esistenza immanente in varie forme, vistosamente presenti e senza scandalo in natura, dove sono parte integrante del programma, quanto meno fra necessità e caso”.
Se Antonio Boggia fosse vissuto ai nostri giorni sarebbe stato probabilmente inquadrato dagli psichiatri in chissà quale forma di psicosi con conseguenti deficit socio-emotivi, giudicato infermo di mente. E, in fondo, per il pluriomicida anaffettivo Antonio Boggia il lettore prova alla fine un senso di pietà, grazie proprio all’empatia (forse l’unico strumento per combattere il male?) che è la base sulla quale si sviluppano emozioni morali, come la pietà, il senso di colpa, il rimorso.