“TUTTO NELLA VITA Ė BREVE SOGNO”
Una possibile chiave di lettura della poesia di Laura Garavaglia viene fuori da alcuni comandamenti estetici autoimposti: evitare moduli preesistenti a favore di una conoscenza autentica, innestando in pieno tessuto lirico parole addirittura scientifiche, abbinate a getti d’emozioni, ansie o gioie dovute al quotidiano, al passar delle stagioni a incontri e viaggi vari.
Il difficile cammino delle esperienze conoscitive che sembra il fulcro della sua parabola lirica, va percorso non senza illuminanti pentimenti, rammarichi, espiazioni o dolori davanti allo spettacolo dell’attualità. Uno spettacolo che include anche “la debole stella che dissangua la sua luce” mentre riassume la storia dell’universo. Maurizio Cucchi scrive nero su bianco che Laura Garavaglia sa “proporre strade di apertura pressoché inedite all’espressione letteraria (…)”. Lo stesso cospicuo poeta che introduce il recente volume della dottoressa Garavaglia LA SIMMETRIA DEL GHERIGLIO insiste sull’eleganza spesso tagliente dello stile nonché dei contenuti, tra vita, lucido sogno e solitudine. Il motivo barocco la vida es sueño viene abolito, alla teoria del già classico saggio L’âme romantique et le rêve di Albert Béguin viene contrapposto il verso: “La vita inizia dove il sogno muore”. Un’intera letteratura, compresi i racconti di E.A. Poe che si cibano dell’illusione, del sogno, dell’incubo, dell’allucinazione cadono in disuso. Facendo uso di parole e metafore scarne ed aforistiche, Laura Cecilia nota: “La solitudine non conosce pietà.!/Anche quando le foglie respirano/smerigliate dal vento./O la luce affilata del mattino/taglia ogni pensiero sospeso,/ogni insieme diviso.E la nostra/debole stella dissangua la sua luce”. Scrivendo questi versi, la nostra autrice avrebbe potuto dialogare con Montale nello spirito della già famosa poesia “Spesso il mal di vivere ho incontrato”. Ma il linguaggio è tutt’altro, in corrispondenza al terzo millennio: “Anomalie genetiche/diceva nel suo camice bianco/le solite eccezioni a conferma/cromosomi a conferma/cromosomi impazziti./Ma la somma, il calcolo che non torna/gli sputa addosso tutto il suo dolore”. Il tempo non è più il letto del fiume di una storia umana, che scorre ineluttabile e omogeneo, bensì uno scioglimento in un’infinità di gocce dense che colano, di tracce e macchie che sbiadiscono. Al poeta non rimane altro che raccogliere “il mozzicone del giorno”, di scarnificare “parole fino all’osso”; quest’ultima frase puòessere un modo montaliano di concepire la scrittura, di fare poesia, una possibile ars poetica. Lo spazio non è più a misura dell’uomo, vedere la megalopoli tentacolare, un caos pronto a ingoiare l’individuo in un oceano di volti e parole. Al di là dello spazio e del tempo, “destinati a sbiadire fino a diventare/semplici ombre”, quindi, al di là di queste realtà oggettive e matematiche forgiate nel cervello del poeta, c’è anche la coppia; placata la guerriglia urbana tra i due partner, finiamo per accontentarci di “poter stare vicini”/gusci di noce, simmetrie di geriglio/sulle onde dei nostri quantici destini”, conclude Laura Garavaglia, figlia dell’era digitale. Alcuni versi, belissimi, riescono a scombussolare il lettore, inviandolo a quelli di Dino Campana, Valéry, Mallarmé, Celan o Amelia Rosselli: “Il ghiacciaio si dissangua nel filo del ruscello/eterno fluire”. I versi che seguono sembrano scritti dallo svedese Swedenborg, scienziato e poeta che discorreva con gli angeli del cielo in uno spaziotempo chiamato cronòtopo: “Oltre la vetrata l’enigma cubico del tavolo da tè/il vimini sbiadito del balcone./Non c’è confine tra cielo, mare, sera./non ombra di luce sulla tela”. Il credo estetico di Laura Garavaglia è più che chiaro: “Amo la scienza che non lascia/ spazio all’inganno del tempo/della fede e del sogno./la mela matura marcisce./Ma l’atomo resta, ritorna/ il silenzio del cosmo”. Questa breve silloge riesce ad essere un connubio tra conoscenza e poesia, ne fanno prova tanto stilemi tipo spazio vettoriale, chiusura di insiemi convessi, la freccia del tempo, vento solare, le stelle che si espandono e poi implodono,/le stelle variabili ecc. Chiudiamo qui le nostre impressioni, pensando a Vittorio Sereni, ma anche a Dante col suo “amor che muove il sol e l’altre stelle”.Geo VASILE