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con Laura Garavaglia e Gian Italo Bischi
16 novembre 2019 ore 14:00
Circolo Filologico Milanese – Aula 2
via Clerici 10, 20121 Milano
Cosa hanno in comune matematici e poeti? Alla prima impressione sembra che questi due ambiti non abbiano nulla da spartire. Invece matematica (e tutta la scienza in generale) e poesia cercano anzitutto di dare risposte alle domande fondamentali della nostra esistenza, di comprendere com’è fatto il mondo, com’è fatto l’universo, cercando il più possibile di fare luce sul mistero in cui siamo immersi.
Se pensiamo ai grandi del passato, da Lucrezio a Dante Alighieri, da Leonardo a Galileo, solo per citare tra i più noti, ci rendiamo conto che il sapere non era diviso in compartimenti stagni, ma cultura scientifica e letteraria si alimentavano e potenziavano a vicenda. Del resto anche in tempi più vicini a noi abbiamo molti esempi di poeti e scrittori che erano matematici o ingegneri o comunque si interessavano all’affascinate mondo della scienza e nelle loro opere si trovano continui riferimenti al connubio tra scienza e letteratura: Primo Levi, Italo Calvino, Leonardo Sinisgalli, Andrea Zanzotto tra gl italiani e Jorges Luis Borges, Lewis Carrol , Robert Musil tra gli stranieri. E sono solo alcuni esempi.
L’immaginazione è una delle prime caratteristiche che accomuna scienziati e poeti. L’intuizione che, ad esempio, un matematico ha prima di trovare la dimostrazione di ciò che ha “scoperto” è simile a ciò che colpisce il poeta, un’emozione, un’esperienza che sedimenta nel suo io più profondo prima di trasformarsi in una “provocazione dell’esistenza”, come scrisse Vittorio Sereni, e quindi farsi poesia. Il grande fisico e matematico Henri Poincaré ha scritto delle pagine illuminati nella raccolta di saggi “Scienza e metodo” sulla definizione di creatività, come caratteristica comune a scienze, tecnologia, arti e quindi anche alla poesia. Scrive che le maggiori intuizioni le ha avute in momenti assolutamente lontani dal lavoro a tavolino, mentre beveva un caffè, passeggiava sulla spiaggia o scendeva dall’autobus.
Un altro esempio: Ada Byron Lovelace , figlia di Lord Byron e studiosa di matematica, il cui lavoro in collaborazione con lo scienziato inglese Charles Babbage fu considerato profetico nell’invenzione del computer, scrisse a questo proposito: “Ho fatto curiose osservazioni sullo studio della matematica. Le più importanti sono le seguenti: la matematica genera un immenso sviluppo dell’immaginazione a tal punto che non ho dubbi che se continuerò i miei studi, a tempo debito sarò un poeta”
E il poeta e, matematico e ingegnere Leonardo Sinisgalli ha dedicato tante pagine all’intimo rapporto tra matematica, poesia, arti e tecnologia, in particolare in quella fucina di appassionate intuizioni e idee che è il libro “Furor Mathematicus”, sintetizzando addirittura in una formula la forza che la poesia ha nell’alterare la realtà delle cose.
Altre sono le caratteristiche comuni tra matematica e poesia: l’uso di metafore, per esempio, che riguarda sia il linguaggio poetico che quello scientifico: la metafora è infatti uno strumento conoscitivo, che stimola l’immaginazione, crea suggestione, condensando in un unico nucleo tematico o immaginativo una serie di elementi che da verbali diventano concettuali.
C’è poi la tensione alla bellezza. La ricerca della parola esatta, che non può essere diversa, la capacità di dare ritmo e suono ai versi, insomma la bellezza di una poesia è simile alla bellezza di alcune formule matematiche. La ricerca della bellezza è stata costante in molti grandi matematici, come per esempio Paul Dirac e Godfrey Harold Hardy, che in “Apologia di un matematico” sottolinea come tale ricerca è comune a scienziati e poeti, asserendo che “non c’è posto per la matematica brutta” e implicitamente dicendo lo stesso della poesia.
“Come si dice bellezza poetica si dovrebbe dire altresì dire bellezza matematica” scrisse Blaise Pascal.
E la bellezza, intesa in senso lato, è una delle più giuste e sacrosante aspirazioni della vita di ogni essere umano.